TOY STORY 4

UN EPILOGO DIVERTENTE E DELICATO CHE APRE NUOVI SCENARI E ARRICCHISCE DI FEMMINISMO LA SAGA.
TOY STORY 4

Woody, Buzz e gli altri vivono sereni con Bonnie, anche se la bambina non ama Woody come lo amava Andy e lo lascia spesso nell’armadio. Woody però rimane ricco di premure verso di lei e, quando Bonnie affronta il primo giorno d’asilo, si infila nel suo zaino per farle compagnia. Finisce così per contribuire alla creazione di Forky, un giocattolo costruito dalla bambina con una forchetta/cucchiaio che però crede di essere spazzatura e vuole solo buttarsi via. Woody cerca di fargli capire l’importanza dell’amore di una bambina, ma non riesce a convincerlo prima che lui salti giù da un camper in corsa. Il cowboy si lancia allora in un’avventura per ritrovarlo, arrivando a conoscere nuovi giocattoli e a ritrovare la sua vecchia fiamma, Bo Peep.

Torna forse per l’ultima volta la saga di Toy Story in un nuovo capitolo che non raggiunge le vette dei precedenti ma apre la vita dei giocattoli a nuove possibilità, introduce crisi d’identità e pure una vena di femminismo.

Nei primi tre Toy Story i personaggi femminili hanno sempre avuto relativamente poco peso e sono stati per lo più rappresentati da una sola figura, nel primo capitolo Bo Peep e nel secondo e terzo Jessie e, a essere generosi, Mrs. Potato. Come sappiamo dai dietro le quinte emersi sulla dirigenza Pixar tutto questo non era una caso e il #metoo che ha travolto la compagnia ha portato anche una ventata di femminismo alla saga, incarnato dalla sceneggiatrice Stephany Folsom, che sembra abbia riscritto una buona metà del film. Il risultato è evidente: Toy Story 4 si svincola dal “principio di puffetta” (ossia quella consuetudine per cui basta un personaggio femminile per rappresentare tutte le donne) e moltiplica le eroine. Non solo infatti Bo Peep è trasformata in una donna d’azione, che ha cambiato la sua gonna per un paio di più comodi pantaloni e usa il bastone da pastore come arma e gancio per scivolare sulle corde, ma un altro personaggio femminile ha un ruolo chiave: Gabby Gabby. Questa è una bambola che, per un difetto di fabbricazione al suo riproduttore vocale, non ha mai trovato una bambina che la volesse.

Sembrerebbe una villain simile ad altri del passato, pronta a tutto pur di avere la sua occasione, incluso rubare il riproduttore vocale cucito nel corpo di Woody, ma in realtà è una creatura profondamente triste e in fondo gentile e ragionevole, che vuole solo trovare qualcuno da amare. Inoltre, a parte per la solita Jessie, ha un ruolo anche uno dei giocattoli preferiti di Bonnie, come leader del gruppo, ma è piuttosto sacrificata inoltre Woody e Buzz scelgono spesso di ignorarla.

L’universo dei giocattoli si fa dunque più ricco, però in tutto questo il dramma identitario di Forky finisce superficialmente accantonato per una nuova questione: esiste vita al di fuori dell’amore per un bambino? I giocattoli benedetti da un primo fortissimo rapporto sentimentale, soprattutto se il bambino li vedeva come i loro preferiti, non sembrano poter davvero sostituire questo affetto nel loro cuore.

Meglio allora che, al posto di cercare un altro bambino come palliativo, si aprano al mondo e magari accettino di fare da gioco al parco giochi per i piccoli che li raccolgono oppure di viaggiare con una luna park itinerante, come nei piani di Bo Peep. È una rivoluzione copernicana rispetto a quello che abbiamo sempre saputo e, per certi versi, sembra contraddire sia la depressione di Jesse nel secondo film sia il capitolo precedente, dove l’essere senza un bambino e confinati in un asilo dava luogo a una distopia. La differenza sta nel saper accettare questa nuova prospettiva di vita anziché viverla con astio e umiliazione. Così, in modo decisamente appropriato, il capitolo della saga aggiunto alla precedente fine di un ciclo è un epilogo sul pensionamento, sulla vita dopo il termine dell’impegno lavorativo o dopo la fine di un amore.

Edificante e tutto sommato divertente, sebbene alcuni inseguimenti e fughe diventino un po’ ripetitivi chiusi come sono tra le stesse due location, Toy Story 4 non arriva però a ritrovare la sapienza cinematografica dei precedenti. Josh Cooley fa un discreto lavoro ma non ha il genio di John Lasseter e se cita il filone horror delle bambole assassini e dei sinistri pupazzi dei ventriloqui, non stupisce come il fondatore della Pixar, né sfiora la vertigine di temi quali l’immortalità e la corruzione del potere. Si accontenta di un registro più intimo, senza grandi invenzioni visive ma sorretto da una fotografia davvero allo stato dell’arte. Ne viene un epilogo decoroso e pur sempre superiore a tutti i sequel delle altre serie Pixar, inoltre fa piacere che ora anche le bambine avranno un po’ di giocattoli tra cui scegliere, ma rimane la sensazione di un capitolo minore. Vale comunque la pena di pazientare fino alla fine di tutti i titoli di coda, per godere di un ultimo adorabile siparietto tra i nuovi personaggi del film.

TOY STORY 4
PROGRAMMAZIONE
TERMINATA