A sessant’anni Pete “Maverick” Mitchell è ancora un ‘semplice’ officiale al servizio dell’aereonautica americana. Aveva tutto per diventare generale ma Mav se ne infischia delle stelle e dell’uniforme, preferisce essere un pilota collaudatore e superarsi a colpi di Mach. In ritiro in un hangar, tra ricordi gloriosi e ‘riparazioni’, è richiamato dai suoi superiori per addestrare una flotta che dovrà affrontare una missione ad alto rischio in territorio nemico: lo smantellamento di una base segreta di uranio. Tra i giovani allievi c’è Bradley Bradshaw, figlio di Goose, amico e copilota, morto accidentalmente anni primi durante un’esercitazione. La loro relazione fatica a decollare mentre i demoni tuonano come un F-14 e la missione incombe. Quella militare e quella formativa.
Trentasei anni dopo, Maverick riprende servizio in un film che omaggia gli anni Ottanta e i suoi interpreti. Operazione nostalgia già percorsa da Indiana Jones e dall’ultima trilogia di Star Wars, ma con Top Gun è tutta un’altra storia. Il blockbuster di Joseph Kosinski non resta a terra e vola altissimo.
Top Gun: Maverick è un sequel in piena salute e in pieno mito. Stesse amicizie virili, stesse rivalità per pilotare caccia potenti, stessa tensione omoerotica dietro ai Ray-Ban, stessa spiaggia e naturalmente stessi titoli di testa, che riprendono l’incipit di Tony Scott sul celebre tema di Harold Faltermeyer. Una lunga prima scena, evocatrice e onirica, che ci precipita di colpo nel 1986 e su una portaerei in febbrile attività. Il tempo non è passato, Top Gun è davanti a noi, intatto e pronto a tentare l’impossibile a fianco del suo eroe: contraddire tutte le attese e rifiutare tutto quello che avrebbe dovuto essere, o che l’industria avrebbe voluto che fosse. Un ultimo volo malinconico.
L’idea della trasmissione è centrale ma l’eroe di questo secondo capitolo è ancora lui, Tom Cruise, che corre in moto dentro lo stesso tramonto ma si domanda adesso fino a quando potrà ‘volare’, quando e dove smettere. Confrontare il suo personaggio col suo passato, dona a Maverick lo spessore che gli mancava nell’originale, dove dimorava archetipo grezzo. Soprattutto conduce il film verso un’altitudine emozionale quasi fordiana. Come lo struggente ritrovarsi di Tom Cruise con Val Kilmer, che rende conto dell’eterna giovinezza del divo e del suo dramma connaturato: vedere il tempo, la vita e la morte scorrere sugli altri. Ma non su di lui, che quella insaziabile ricerca di giovinezza la porta come un peso, o forse un destino.
Al di là della trama ‘militare’, il classico racconto di superamento e perdono, Top Gun: Maverick è soprattutto una nuova meditazione su Tom Cruise e la sua relazione col tempo che passa. Impossibile per lui lasciare andare. Lo dice e lo ripete dentro un film che gioca tanto (forse tutto) sulla sua età e su una forma di disadattamento al mondo contemporaneo, confrontandolo col ruolo che lo ha reso celebre e o lo ha definito.
Davanti alle immagini divoranti e organiche di Kosinski, che ci rammentano quanto ci fosse mancato il brivido del grande schermo, sembra quasi di assistere alla fine di un’epoca, all’ultimo respiro di un cinema del divertissement che ama i personaggi e lo spettacolo, che preferisce le storie ai concetti e che continua a lottare per non diventare una specie in via di estinzione. Top Gun: Maverick non ha certo la densità di West Side Story, per citare una delle ultime grandi riproposizioni hollywoodiane. L’estromissione poco elegante di Kelly McGillis a favore di un nuovo oggetto del desiderio, incarnato da Jennifer Connelly, paracaduta artificialmente nell’intrigo, o il tema del figlio del partner defunto a cui si vuole evitare la missione suicida, sono vecchie abitudini di Hollywood o trite convenzioni di genere (il film di aviazione).
Ma la sua sincerità compensa le lacune e induce le lacrime che poi si sciolgono in un’ironia pertinente e ben dosata. Il percorso drammaturgico di Maverick e le sue risonanze metacinematografiche si aggiustano con la messa in scena geometrica e virtuosa di Kosinski. Lontano dall’abuso del digitale e da qualsivoglia ‘disincarnazione’, l’autore filma i suoi attori in volo dentro gli F-18, pilotati da piloti qualificati. Le sequenze d’azione, iperboliche e impressionanti, impattano fisicamente i protagonisti e restituiscono al film culto di Tony Scott una nuova giovinezza. Top Gun: Maverick non rivoluzionerà la settima arte ma vi porterà al settimo cielo. Da vedere in sala, obbligatoriamente.