SPIRIT – IL RIBELLE

TORNA IL CAVALLO SELVAGGIO PIÙ CELEBRE DEL CINEMA D'ANIMAZIONE AMERICANO, DOMATO E AMATO DA UNA RAGAZZINA RIBELLE.
SPIRIT – IL RIBELLE

A fine XIX secolo, Lucky Prescott è una ragazzina della costa orientale orfana di madre – una cavallerizza morta in un incidente durante una performance – e cresciuta dall’amorevole zia Cora. Indisciplinata e un po’ selvaggia, dopo l’ennesima bravata Lucky viene condotta dalla stessa Cora dal padre Jim, spedito nell’avamposto di frontiera Miradero per costruire la ferrovia. Tra montagne, pascoli e specchi d’acqua, Lucky trova finalmente la propria dimensione e rimane affascinata da Spirit, un mustang intrepido che lei sola saprà domare. Con le nuove amiche Abigail and Pru, Lucky salverà Spirit e il suo branco dalle mire dei ladri di cavalli e trovare così un inatteso legame con la madre.

Più che un remake o un reboot del prototipo Spirit – Cavallo selvaggio, il film è la versione cinematografica della serie Spirit: Avventure in libertà, creata da DreamWorks Animation e distribuita da Netflix.

Non c’è alcuna ragione al di fuori del merchandising per giustificare l’esistenza di un film come Spirit – Il ribelle, generato da un serie tv ispirata a sua volta da un film ancora oggi molto noto, nonostante i quasi vent’anni dall’uscita. Non che la logica dei remake e dei reboot imperante a Hollywood nasconda chissà quali intenzioni artistiche, ma nel caso di questo film d’animazione digitale della Dreamworks fa un certo effetto constatare come non vi sia alcun tentativo di mascherare le intenzioni e provare magari a inventare qualcosa di diverso.

Semplicemente, i genitori di bambini e bambine che già hanno amato il film e già seguono la serie su Netflix (sostituta di Nickelodeon come terminale delle produzioni che Dreamworks crea a partire da film di successo, come nel caso di Kung Fu Panda), probabilmente si ritroveranno al cinema a vedere anche questo ideale terzo tassello della serie, per quanto assolutamente privo di novità e interesse.

Se infatti il prototipo, ormai quasi vent’anni fa, è rimasto nella memoria come un lavoro a suo modo sperimentale, tra gli ultimi lavori a mano della Dreamworks, la sua derivazione televisiva e ora anche cinematografica ha sostituito la creatività analogica con una piattezza digitale che elimina ogni apertura onirica e punta unicamente alla relazione fra la ragazzina e il cavallo, nel segno ovviamente di una visione superficiale dell’idea di ribellione e libertà.

Le avventure di Spirit – Il ribelle, ambientate nell’avamposto di Miradero, più che la tradizione western (la frontiera, il treno, gli scorci naturali, la lotta fra buoni e cattivi), recuperano toni e atmosfere da racconto per bambine e young adult (con almeno tre canzoni eseguite per intero), in cui una femminilità indomita e non più solamente bianca (come dimostrano le amiche di Lucky, Abigail e Pru) trova la propria centralità all’interno di un mondo prettamente maschile.

Qualsiasi opportunità di ribaltare stereotipi e mettere in discussione pratiche di rappresentazione è però anestetizzata da un’animazione inconsistente (a parte forte la sequenza notturna tutta virata in blu), secondo una politica tipica della Dreamworks, che differenzia la complessità dei propri lavori a seconda del pubblico di riferimento.

Non è un caso che negli Stati Uniti la voce di Lucky sia stata affidata a Isabela Moner, star di Nickelodeon con la serie 100 cose da fare prima del liceo e soprattutto di Netflix con Dora e la città perduta. Le altre voci, che naturalmente nel doppiaggio vanno perdute, appartengono a interpreti del calibro di Julianne Moore (Cora) e Jake Gyllenhaal (il padre di Lucky), ma questo non contribuisce ad aumentare la complessità del film, in cui il presunto carattere indomito del cavallo viene placato da Lucky grazie a un paio di mele (strano che gli allevatori non ci avessero pensato prima…) e la ribellione trova un giusto sfogo nella lotta contro i cattivi e viene placidamente assorbita dalla famiglia.

SPIRIT – IL RIBELLE
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TERMINATA