RED JOAN

La storia di una donna che ha lavorato come spia per il KGB per oltre cinquant'anni senza mai farsi scoprire.
RED JOAN

L’anziana Joan Stanley vive serenamente in un elegante sobborgo londinese, tra le fotografie dei nipotini e la passione per il giardinaggio, quando viene arrestata dal MI5 e accusata di spionaggio e tradimento. Il figlio avvocato, Nick, non crede ai suoi occhi, ma, durante l’interrogatorio, Joan viene forzata a ricordare i tempi in cui studiava fisica a Cambridge, la passione per il comunista Leo Galich e il lavoro negli uffici del segretissimo Tube Alloys Project, alle dipendenze del professor Max Davies, e il passato riaffiora, più complesso e drammatico di quanto Nick avesse mai potuto immaginare.
Il produttore di Marilyn e Shakespeare in love ha giustamente visto nella vicenda di Melita Norwood una storia nella Storia, con i caratteri di leggendarietà e di umanità che avevano portato al successo i suoi prodotti precedenti. Qui non si tratta, però, del più misterioso e geniale drammaturgo di tutti i tempi, né della donna più bella e più triste del mondo, bensì della più potente delle bombe, l’atomica, al tempo della sua invenzione.

Classico che classico è dir poco, nello stile e nella costruzione, che alterna l’interrogatorio poliziesco nel presente con il ricordo del passato cronologicamente ordinato, il film di Trevor Nunn trova un buon equilibro tra pieni e vuoti, amplificazioni e riduzioni, ma non passerà alla storia come un esempio eccelso di cinema di spionaggio.

Mentre i flashback costruiscono la spy story, con tratti di romanzo sentimentale, personaggi non ugualmente riusciti e colpi di scena di dovere, il presente è ridotto a momenti brevi e di servizio, che servono a rilanciare il racconto ambientato negli Quaranta, come fossero capitoli di un libro (e il libro di partenza c’è: “La ragazza del KGB” di Jennie Rooney). Eppure, in quelle rapide scene in cui non accade nulla o quasi, con la vecchia protagonista davanti alla solita (e qui poco verosimile) coppia di investigatori, Judi Dench offre un’altra delle sue performance, recitando soltanto con gli occhi e con l’ausilio di un abito opportunamente dimesso e di una gamba malferma. Nel frattempo, il film nel film dei ricordi di Joan amplifica, con qualche esagerazione, il suo ruolo nella Storia, facendone l’inventrice della guerra fredda e la fautrice di quella distensione che ha assicurato all’Occidente un lungo dopoguerra di pace. Rispetto alla figura reale della Norwood, Red Joan non è una simpatizzante del comunismo, né fa quel che fa per salvare il sistema Unione Sovietica: con un certo schematismo, che insiste sul suo essere donna in un mondo di scienziati maschi senza cuore, il film punta sulla sua reazione emotiva ai fatti di Hiroshima e Nagasaki e sulla necessità morale di scongiurarne altri.
Peccato, in definitiva, che un film che mira a raccontare l’esistenza dello straordinario dietro un’apparenza di placida quotidianità, non faccia uno sforzo per uscire a sua volta dalla convenzione, nell’uso dei flashback così come nella sbrigativa e prevedibile linea che lega madre e figlio nei giorni dell’arresto. Trevor Nunn, che ha una storia gloriosa in ambito teatrale, al cinema ha ancora della strada da fare.

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TERMINATA