QUARTO POTERE

IL TRIONFO DEL CINEMA PER IL CINEMA. CAPOLAVORO DI WELLES RITENUTO DEGNO LEADER DI UNA CLASSIFICA IDEALE DI FILM.
QUARTO POTERE

Si narra la vicenda di Charles Foster Kane, magnate dell’editoria. Il film inizia con un flash-back. Kane è morto, si cerca di interpretare la sua incredibile personalità, le sue speranze e le sue azioni. L’uomo è morto pronunciando la parola “Rosebud”. Un giornalista si assume l’incarico di venire a capo del mistero andando a parlare con le persone che furono più vicine al magnate. Comincia dal suo più grande amico, Leland (Cotten), che sostenne Kane fin dall’inizio, quando il grand’uomo sembrava animato da irresistibile spinta di onestà e fu da questi licenziato quando non si schierò dalla sua parte in una vicenda di scarsa importanza. Appare un assistente di Kane, che conosce alcuni fatti, appare la seconda moglie, una cantante con le virgolette, come venne definita per il suo poco talento. Kane tentò anche la via politica, ma venne fermato con un ricatto. Conobbe tutti i grandi uomini del suo tempo. Raccolse in un incredibile castello milioni di cimeli e di cianfrusaglie. Ed ecco la soluzione del mistero: “Rosebud” era il nome della piccola slitta con cui Charles giocava da bambino. Come a dire che a fronte di una vita così articolata, importante, decisiva per molti, rimane un pezzo di legno che brucia in una caldaia.

Titolo santificato dal cinema. Da molti ritenuto degno leader di una classifica ideale di film.

Fu girato nella seconda parte del 1940 quando Welles aveva appena venticinque anni. Welles fece un film allarmante, incredibilmente pensato, nei contenuti e nella tecnica. Era il trionfo del cinema per il cinema, dove niente è reale e naturale, dove le luci arrivano da fonti impossibili (celebre la sequenza delle ballerine alla festa, che vengono illuminate dal pavimento).

Il regista usò obiettivi particolari per dare significati espressivi a seconda di ciò che voleva comunicare: il soffitto a opprimere appena sopra la testa, il grandangolo che isola, piccolissimo, il soggetto. I giochi di ombre che indicano precarietà e una fine che non sarà certamente lieta.

Welles, che aveva già stupito gli americani coi suoi geniali interventi radiofonici (famoso quello dell’invasione della terra da parte dei marziani, tanto realistico da sconvolgere il paese), li stupì con un film che rappresentava l’esatto opposto del sogno americano raccontando la vicenda di un eroe che finisce male.

Welles si ispirò alla vera storia dell’editore William Hearst e introdusse per primo nel cinema la pratica, seppur popolare, freudiana, alla quale avrebbe presto attinto un grande maestro come Hitchcock. Il film esce dal quadro del suo tempo, rimane un manifesto ancora valido.

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