Na-young e Hang-seo sono fidanzatini alle scuole medie, ma i genitori di Na Young devono trasferirsi da Seoul a New York. Da questa dolorosa separazione trascorrono dodici anni, dopo i quali Na-young, che ora si chiama Nora, e Hang-seo riescono a ritrovarsi e a comunicare via Skype. Di fronte all’impossibilità di incontrarsi nello stesso luogo, Nora sceglie di interrompere la relazione a distanza e concentrarsi sulla propria carriera di scrittrice a New York. Dopo altri dodici anni, Hang-seo vola a New York per vedere Nora.
Da Breve incontro in poi cinema e romanticismo, con quest’ultimo idealizzato, o meglio ancora tormentato e irrealizzabile, sono un connubio perfetto. Ne sa qualcosa Wong Kar-wai, ne sa qualcosa Richard Linklater.
Come rendere la materia più antica e apparentemente distante dal pragmatismo odierno viva e pulsante? Come farla parlare alla generazione del terzo millennio? Quesito che Celine Song non sembra porsi, trovando la più semplice delle soluzioni possibili, ossia un racconto in parte autobiografico e in parte romanzesco, a cui fornire una struttura narrativa insolita.
Lo si intuisce già dall’incipit di Past Lives, che non è solo una suggestiva introduzione alla storia, ne è anche chiave interpretativa. Le voci fuoricampo di ipotetici avventori del bar in cui si svolge la scena si interrogano sulla natura dei rapporti tra tre persone: un americano, un coreano e una coreano-americana. I punti di vista degli osservatori sono differenti e contrastanti, come lo sono per il trio in questione, in un film che prova a rendere conto delle diverse angolazioni da cui si può osservare questa ronde à trois, senza verità certe. L’amore è anche un incontro di punti di vista, e nella sua forma più pura è raro almeno quanto la concordanza di questi ultimi.
Quella di Celine Song, drammaturga al debutto nel lungometraggio, è una riflessione a tutto tondo sul relativismo dell’amore e su come questo sia inevitabilmente condizionato dal caso e dal destino, da avvenimenti anche ordinari o da coincidenze imprevedibili. La sorte ha in serbo per noi più di un bivio esistenziale: possono trattarsi di biforcazioni figurate oppure concrete e materiali, come i viottoli su cui si sofferma la macchina da presa per sottolineare la forza del primo distacco fisico tra Hang-seo e Na-young, in procinto di abbandonare Seoul.
Contenuti tutt’altro che nuovi, si dirà, memori della trilogia Before firmata Richard Linklater, ma se è evidente l’amore cinefilo di Song per il mélo classico e moderno, è altrettanto chiara, e tutt’altro che ovvia, la sua rielaborazione in forma contemporanea. Un’attualizzazione che attraversa linguaggio e contenuti e che tiene conto dei cambiamenti radicali sopraggiunti durante l’arco temporale della vicenda.
Sono tre i piani temporali intervallati da ellissi: gli anni Novanta dell’infanzia in Corea; il nuovo incontro grazie alla tecnologia, attraverso social e videochiamate Skype; l’inatteso viaggio di Hang-seo, che spezza l’equilibrio e destabilizza la vita newyorchese ormai consolidata di Nora. Il trittico misterioso che ne scaturisce è un triangolo amoroso scaleno, dai lati diseguali tra loro, in cui i molti se e ma su come avrebbero potuto andare le cose rimangono sospesi nell’aria che divide i personaggi, nella tensione invisibile che li avvicina e li allontana.
Il richiamo allo in-yuan, fatalismo amoroso della tradizione coreana legato alla reincarnazione, è suggestivo, come la potenza affabulatoria dell’amore inespresso e incompiuto: è quasi una storia d’amore, per citare un grande film di Peter Chan – Comrades: Almost a Love Story – che ha di certo lasciato un marchio nell’immaginario di Celine Song (alcune sequenze, come quella intorno alla statua della libertà, e il tema dell’immigrazione che unisce e insieme divide sembrano richiami espliciti al film).
Ma il personaggio di Nora, benché scosso da dubbi e rimpianti, ha la forza di dissacrare l’elemento romance e tornare alla realtà, definendo lo in-yuan come “pretesto per una tecnica coreana di seduzione”. È significativo che sia Nora, alter ego di Song, il personaggio proattivo e pragmatico, di fronte a due uomini confusi e smarriti, fragili e inclini a solidarizzare tra loro, anziché sfidarsi in una singolar tenzone di gelosia. Qui sta l’elemento più contemporaneo, che rende Past Lives qualcosa di più di un romantico mélo sull’amore platonico: il ribaltamento del ruolo tradizionalmente attribuito all’elemento maschile della coppia – un tempo trainante e oggi timido e passivo – e a quello femminile – Nora è una donna sicura di sé, avviata a una carriera promettente e disposta anche a sacrificare legami sentimentali pur di poterla perseguire.
Se la prima visione di Past Lives induce soprattutto alla speranza e alla curiosità per l’epilogo, sono quelle successive a rivelare come nessuna inquadratura avvenga per caso e il raffinato lavoro di Song evidenzi la concettualità che sorregge un lavoro pregevole. Non solo per irrecuperabili sentimentali, quindi: per godere di Past Lives è sufficiente essere umani, consapevoli innanzitutto della propria vulnerabilità.