MALEDETTA PRIMAVERA

UN FILM PIENO DI ARIA E DI LUCE SOTTESO DA OMBRE E PAURE INCONFESSABILI. BUONA LA PROVA DEI GIOVANI ATTORI.
MALEDETTA PRIMAVERA

Anni Ottanta. Nina si è trasferita da poco, e in fretta e furia, da una zona centrale di Roma al casermone periferico dove era cresciuta sua madre Laura. La madre litiga continuamente con il padre Enzo, che campa di espedienti improvvisandosi rivenditore di apparecchi fotografici di dubbia provenienza. Il fratellino Lorenzo è disorientato e si appoggia a Nina come a una seconda mamma, essendo quella vera esasperata da un marito che trascorre tutte le sere alla bisca con gli amici. Nella nuova scuola di suore – le uniche disposte ad accoglierla a fine anno – Nina incontra una ragazza della Guyana francese recentemente adottata da una donna italiana. E il legame fra queste due anime sole si rivelerà indimenticabile.

Elisa Amoruso dedica alla sua famiglia il primo lungometraggio di finzione dopo i documentari Strane straniere e Chiara Ferragni – Unposted. Il suo tema autoriale sembra quello dello straniamento di chi si muove in un mondo di propria creazione: in questo caso l’universo di una ragazzina che muove i primi passi nell’adolescenza e scopre la propria sessualità, con davanti l’esempio di una coppia, quella dei suoi genitori, per cui la passione è stata una reciproca condanna.

Maledetta primavera è un film pieno di aria e di luce, visivamente trasparente, sotteso da ombre scure e paure inconfessabili. Amoruso ha un talento registico che vira verso la leggerezza, e questo è un bene fin tanto che la leggerezza non sconfina nell’inconsistenza. Il racconto di formazione di Nina sconta una scarsa originalità nella (pur piacevole) forma, e attinge ad archetipi cinematografici che fanno presto a diventare cliché: la cantata in macchina, il bagno nel mare filmato a pelo d’acqua, il luna park con la giostra e i seggiolini volanti, le immagini riflesse e rifratte. Spesso è il montaggio severo di Chiara Griziotti a riacchiappare la trama un attimo prima che (s)cada nel melenso.

Ciò che invece Amoruso affronta molto bene, e in modo davvero originale, sono i corpi femminili, filmati in maniera tattile ed empatica, frammentati in modo che non diventino mai “pezzi di carne” ma mantengano una loro dignitosa integrità. Amoruso non confonde mai la sensualità con l’oggettivazione sessuale, e questa è una qualità rara nel cinema, soprattutto quando i corpi filmati sono quelli femminili. Nessuna delle donne qui mostrate perde il possesso del proprio fisico, acerbo o maturo che sia.

Il cast giovanile – l’esordiente Emma Fasano nei panni di Nina, l’attrice francese Manon Bresch in quelli della compagna di scuola e Federico Ielapi, il Pinocchio di Garrone, che interpreta il piccolo Lorenzo – è più credibile e spontaneo di quello adulto, con Micaela Ramazzotti e Giampaolo Morelli intenti a riproporre le loro consuete caratterizzazioni.

Maledetta primavera resta un corpo a corpo gioioso e combattivo fra due donne in divenire, a tratti evanescente come un soffione, a tratti consapevole della forza dirompente della sessualità adolescenziale, e segna un punto di partenza per un’autrice che conosce il potere delle immagini ma può concedersi di osare di più nello scavare dietro la loro gradevolezza

MALEDETTA PRIMAVERA
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