Reggio Emilia. Riko lavora in una ditta che insacca salumi. Ha una moglie, Sara, qualche avventura extra coniugale e un figlio ormai cresciuto che cerca l’autonomia dai genitori. Riko è fondamentalmente un uomo onesto (così lo considerano gli altri) messo a confronto con un presente in cui la precarietà sembra essere diventata l’unica norma: nei sentimenti, nel lavoro, nel domani.
“Ho fatto in tempo ad avere un futuro/che non fosse soltanto per me (…) Ho fatto in tempo a imparare a volare/senza dover guardare giù/e non conoscere certe paure/che nel frattempo sono di più” così canta Luciano Ligabue in uno dei brani che compongono il concept album che ha lo stesso titolo di questa sua terza regia e che, con alcuni brani, accompagna gli sviluppi della vicenda.
Sono trascorsi vent’anni da un esordio, che tutti ricordano per la sua schiettezza e immediatezza, che si intitolava Radiofreccia.
Non si può dire che l’artista di Correggio soffra di bulimia cinematografico-registica perché se tra il primo e il secondo film (Da zero a dieci) erano trascorsi quattro anni ora di tempo ne è passato quattro volte tanto. Perché per Ligabue il trascorrere delle stagioni ha un valore che non gli ha solo imbiancato capelli che rifiutano le tinture ma lo ha fatto crescere impedendogli al contempo di evitare di creare un fossato tra palco e realtà. Fatta la tara sui momenti di retorica che ogni tanto emergono quella che qui di fatto domina è la visione di qualcuno che conosce la materia che tratta perché non se ne è mai separato, neppure nei momenti di massimo trionfo.
È come se Campovolo non fosse stata esclusivamente un’apoteosi del rocker ma una vera occasione d’incontro in cui i Riko, i Carnevale, le Angela, i Patrizio e i Pavak (che si sentono e sono italiani) non fossero mai diventati massa ma rimaste persone.
Ognuno di loro sente ancora dentro di sé quella che il regista tedesco Edgar Reitz ha saputo sintetizzare con un’opera fiume rappresentata da un unico vocabolo: “Heimat”. Si tratta del luogo in cui si coagulano gli affetti, la piccola patria dentro quella con la P maiuscola. Riko e i suoi amici la vivono e la sentono con tutte le paure di cui sopra. Qualcuno cade senza potersi più rialzare ma altri ci provano e, con fatica e dolore ma anche con forza d’animo e capacità di reinventarsi, ci riescono. Perché, come dice il protagonista, “ci vuole un niente a farsi piacere lo status quo” anche se non se ne è convinti. Ma così si finisce con il perdere non solo il rispetto per gli altri ma anche per sé e bisogna evitare a tutti costi che accada. Oggi più che mai.