La ragazza nella nebbia

Donato Carrisi esordisce alla regia con l'adattamento di uno dei suoi romanzi di maggiore successo.
La ragazza nella nebbia

La sedicenne Anna Lou – brava ragazza dai lunghi capelli rossi appartenente ad una confraternita religiosa molto conservatrice – scompare dal paesino montano di Avechot. A interessarsi del caso è l’ispettore Vogel, che ha una reputazione professionale da salvare e una propensione a fare leva sui mass media. E dato che ad Avechot si sono appena trasferiti un professore di liceo con moglie e figlia, chi meglio di un estraneo alla comunità può candidarsi come principale sospettato?

Donato Carrisi esordisce alla regia con l’adattamento di uno dei suoi romanzi di maggiore successo, La ragazza nella nebbia, firmandone anche la sceneggiatura, e fa dire al professore che “la prima regola di un grande romanziere è copiare”.

Fedele al suo motto, procede ad attingere a piene mani da molto del cinema che l’ha preceduto e in particolare da alcuni autori di culto: da David Lynch (innumerevoli i riferimenti a Twin Peaks) a David Fincher (quello di L’amore bugiardo ma anche quello di Seven), passando per il Giuseppe Tornatore di Una pura formalità e Tomas Alfredson, cui lo accomuna la difficoltà di portare sul grande schermo un noir di successo.

L’uomo di neve e La ragazza nella nebbia infatti si assomigliano non solo per atmosfere e inquadrature nordiche, ma anche per l’affastellamento delle trame e sottotrame e l’eccessiva sottolineatura esplicativa della vicenda nelle sequenze finali.

Carrisi cita anche molte serie televisive recenti, a cominciare da Fargo (il personaggio della poliziotta con il cappello a paraorecchie è talmente derivativo di Marge Gunderson che Michela Cescon lo interpreta con evidente disagio), e struttura la sua narrazione più secondo le regole del piccolo che del grande schermo, inserendo dettagli didascalici come le locandine (a colori, in italiano e inglese, ad Avechot) che denunciano la scomparsa di Anna Lou. Anche la scelta delle inquadrature, spesso dall’alto, con inserto di diorama, cerca di dare un’impostazione insolita all’insieme, ma rivela invece il punto debole dell’intera operazione, ovvero la mancanza di originalità autorale.
Anche la trama è inutilmente contorta, invece di svilupparsi come un meccanismo ad orologeria si perde in ridondanze ed eccessi che tolgono potenza narrativa, e il montaggio in flashback e flash forward confonde invece che, come era nelle intenzioni, depistare e alla fine chiarire. La narrazione abbandona bruscamente i personaggi, per poi riprenderli e riaccantonarli di nuovo, disturbando il racconto invece di creare suspense, col risultato che alcuni personaggi restano fortemente sotto sviluppati (vedi il poliziotto interpretato da Lorenzo Richelmy, ma Carrisi probabilmente pensava a Michael Shannon) e altri macchiettistici (vedi la giornalista televisiva: chi ha immaginato per lei quel guardaroba così smaccatamente pacchiano?). Il regista perde così l’occasione di esplorare uno dei temi più interessanti della sua storia, ovvero l’interferenza mediatica nella vita delle piccole comunità: e sarebbe stato il primo a farlo in forma drammatica compiuta, dopo la lettura comica di Omicidio all’italiana e Chi m’ha visto?.
Ciò che si salva è la buona capacità compositiva delle inquadrature (al di là della già citata propensione ad imitare quelle altrui) e la recitazione di alcuni membri del cast, in particolare Alessio Boni, che meritava da tempo l’occasione di mostrare le proprie capacità, Lucrezia Guidone nel ruolo di sua moglie e Daniela Piazza e Thierry Toscan nei panni dei genitori di Anna Lou. Toni Servillo è invece eccessivamente manierato, e Jean Reno ha un ruolo troppo poco sviluppato per consentirgli l’interpretazione stratificata che il personaggio richiederebbe.
La trama, che poteva (e doveva) procedere dritta come una spada, nonostante gli intenzionali depistaggi, si perde in vezzi e compiacimenti, in omaggi (non richiesti) e strizzatine d’occhio; i dialoghi sono spesso letterari e sentenziosi; la recitazione è disomogenea (con tanto di disparità di accenti, compresi la dizione teatrale di Servillo e la coloritura romana della studentessa che vuole diventare un’attrice); le musiche, individualmente valide, restano fra loro disarmoniche. Davvero sorprendente, da parte di un regista e uno scrittore che afferma che “tutto è collegato, tutto ha un senso, anche il Male”.

La ragazza nella nebbia
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TERMINATA