LA FIGLIA OSCURA

UNA STORIA DI AMORE MATERNO TOTALIZZANTE E DESIDERIO DI INDIPENDENZA FATICOSAMENTE RIVENDICATO
LA FIGLIA OSCURA

Leda Caruso è una docente universitaria americana di letteratura italiana, in vacanza presso una località di mare vicino a Corinto. Sulla spiaggia dove si reca ogni giorno arriva come un uragano una numerosa e rumorosa famiglia di Queens che ha origini greche e probabilmente qualche legame con la malavita organizzata. Dopo la reazione di fastidio iniziale, Leda comincia ad osservare con interesse Nina, la giovane madre che fa parte del gruppo degli “invasori”, e il rapporto fra Nina e la sua bambina riporta alla memoria della docente la propria relazione con le due figlie, ormai ventenni, quando erano ancora piccole. Una relazione complessa e per certi versi conflittuale che è venuta inevitabilmente a cozzare con il legittimo desiderio di Leda, brillante linguista, di avere una carriera nel mondo dell’accademia.

“Sono una madre snaturata”, dirà Leda, e questa confessione, pronunciata ad alta voce sul grande schermo, ha un effetto dirompente.

L’attrice Maggie Gyllenhaal, alla sua prima prova come sceneggiatrice e regista di un lungometraggio per il cinema, così come Elena Ferrante nel romanzo “La figlia oscura” su cui è basato questo film, tocca un tema tabù, soprattutto in Italia, correndo il rischio del rifiuto a parte del pubblico già affrontato, ad esempio, da un libro e un film come Quando la notte. Il racconto dei sentimenti conflittuali di una madre verso la propria progenie, e in particolare verso le proprie figlie femmine, è raramente affrontato dalla letteratura e dal cinema proprio perché suscita una reazione di rifiuto e di condanna senza appello.

Invece è fondamentale esplorare le contraddizioni della maternità, soprattutto quando c’è in gioco l’affermazione individuale di un’intellettuale e di un’artista, cui l’espressione di sé richiede quella concentrazione che un figlio piccolo inevitabilmente toglie, soprattutto alle madri. Ed è fondamentale esplorare l’attaccamento viscerale, e allo stesso tempo la conflittualità istintiva, di una madre verso una figlia femmina, che porta con sé un confronto sull’accettazione (o meno) della propria identità femminile.

Gyllenhaal affronta entrambi gli argomenti attraverso una regia sensuale che resta incollata ai corpi e fa parlare la grana della pelle, esplora il contatto umano più diretto e materico, entra nell’intensità di sguardi che si vorrebbero mantenere nascosti e la concretezza di incubi che si vorrebbero rimuovere. Leda compie scelte non sempre condivisibili, almeno dal punto della morale (mediterranea e cattolica) immediatamente giudicante, ma Gyllenhaal sospende ogni giudizio, concordando solo sugli assunti di base che “i figli sono una responsabilità schiacciante” e che “l’attenzione verso il prossimo è la forma più pura di generosità”.

Hélène Louvart, direttrice della fotografia di Alice Rohrwacher (anche per i due episodi de L’amica geniale da lei diretti), porta il suo decisivo contributo professionale ed emotivo creando un’aderenza tattile alla storia, e Olivia Colman, con la sua carica umana immediatamente percepibile, nei panni di Leda impedisce il totale distacco critico. Il commento musicale, a volte un po’ troppo presente, di Dickon Hinchliffe alterna i toni caldi del jazz ad atmosfere più rarefatte e distoniche, riflettendo il contrasto interiore che anima questa storia di amore totalizzante e desiderio di indipendenza faticosamente rivendicato

LA FIGLIA OSCURA
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