La famiglia Addams vive infelice e contenta nella sua magione, protetta da una fitta coltre di nebbia. Almeno fino a quando una donna di nome Margaux Needler, conduttrice di un reality televisivo, non fa bonificare la palude sottostante per edificare la città color pastello di Assimilazione. A quel punto trasformare radicalmente la grigia casa Addams diventa l’obiettivo di Margaux. Proprio nei giorni in cui gli Addams ospitano sotto il loro tetto una riunione di famiglia, in occasione della Mazurka della Spada di Pugsley.
A ogni generazione la sua Famiglia Addams. Dopo il telefilm degli anni della prima golden age della tv americana, dopo le serie animate di Hannah e Barbera, ecco il primo lungometraggio di animazione, nell’epoca dello splendore grafico e narrativo del genere.
E poiché questi sono anche tempi di fortunate riscritture, ecco pronta una origin story, della misura di un prologo, anche per gli Addams. Un po’ come i vampiri di Hotel Transylvania (e non è l’unico punto di contatto), Gomez e famigliari sono sempre stati perseguitati da chi non accettava le loro eccentricità: chiamati mostri, scacciati coi forconi, resi nomadi dall’intolleranza di chi faceva del pensiero unico una bandiera di arrogante autodifesa. Ma poi hanno trovato “un luogo dove nessuno con la testa a posto andrebbe neanche morto”, il New Jersey; un ex manicomio diroccato; un ex paziente servizievole e un jingle che entrerà nella storia: gli ingredienti che abbiamo imparato ad adorare, conditi con il giusto umorismo, e ripresentati in maniera accattivante. Su di essi, che fanno da cuscinetto, si possono inserire le novità: le treccine a cappio di Mercoledì, le compagne di scuole, e gli spettri per eccellenza della contemporaneità: smartphones e social network.
La trama del film (il primo di una serie, probabilmente) non riserva grandi sorprese: è facile capire cosa accadrà, ma d’altronde anche questo, a suo modo, è un tratto che appartiene alla tradizione. Più interessante è il recupero dell’immaginario visivo dei fumetti originali di Charles Addams per il New Yorker, l’uso brillante dell’umorismo verbale, al quale il doppiaggio italiano offre spesso la spalla (come nel caso della “cantina dei vini dannati”), e la presenza di alcune scene da piccola antologia: da Lurch che canta “Everbody Hurts”, a Mercoledì che trasforma la più classica delle scene scolastiche americane (la vivisezione delle rane) in un omaggio agli albori del genere horror.