IL RE LEONE

UNA QUALITÀ TECNICA ALTISSIMA PER UN'IMMERSIONE NELLE MERAVIGLIE DELLA SAVANA.
IL RE LEONE

Simba è il futuro re, il cucciolo di Mufasa, sovrano temuto e rispettato, che non cerca la guerra e sa stare entro gli ampi confini del proprio regno. Ma qualcuno trama nell’ombra per sovvertire l’ordine costituito e le promesse future: è Scar, l’invidioso fratello minore di Mufasa, pronto a macchiarsi del più atroce delitto e a prendere il potere con l’inganno. Esiliato e convinto a torto di essere responsabile della fine dell’amato padre, Simba cresce lontano dalla Rupe dei Re finché il passato non torna a cercarlo e a domandargli di assumersi le sue responsabilità.

La trama del Re Leone è nota, come lo sono le sue famosissime canzoni, le scene clou, le battute di spirito. Non si troverà nulla di diverso nella versione aggiornata e fotorealistica di Jon Favreau, che del calco dell’originale fa un volano ma anche, involontariamente, un boomerang.

Se La Bella e la Bestia in live action e CGI si è presentato come una valida alternativa al suo corrispettivo animato, se il remake de Il libro della Giungla, ad opera dello stesso Favreau, è un’ottima rivisitazione, con un tono specifico e una personalità propria, nessuna delle due cose, sfortunatamente, si può dire del nuovo Il Re Leone, che suscita più domande retoriche che sincero entusiasmo.

Sebbene, sulla carta, l’idea di un’immersione quanto più realistica possibile nelle meraviglie della Savana e delle sue creature sembrasse una scommessa vinta in partenza, l’uso straordinario della CGI penalizza il film, interrogando il senso generale di un remake di questo tipo. Gli animali appaiono sfruttati per esclusivi fini antropo-simpatetici, imboccati con un linguaggio che non appartiene loro, ripuliti nei suoni e nella loro natura tout court, senza che il filtro della stilizzazione, che era proprio dell’animazione, intervenga nel mezzo per farci sorridere dell’operazione. E il fatto che il film non preveda presenza umana alcuna (non c’è un Mowgli, per intenderci) amplifica ulteriormente la sensazione di artificiosità.

Dopo aver lavorato per un secolo per far sembrare vivi i disegni animati, la Disney sembra impegnarsi qui per “cartonare” gli animali vivi, ammaestrandoli a tutti i costi a replicare le inquadrature e i labiali di una fantasia animata. Le poche aggiunte alla sceneggiatura originale riguardano principalmente l’epurazione dei movimenti paranazisti delle iene sulla musica di “Sarò Re”, l’introduzione di maggiori battibecchi di coppia, e qualche approfondimento per allungare la durata, che s’impone però senza leggerezza su un film già tra i più pedagogici del cosiddetto Rinascimento Disney.

“Sappiamo ciò che siamo ma non quello che potremmo essere”, recita l’Amleto, attorno al cui archetipo si sviluppava la favola immaginata nel ’94 da Allers e Minkoff. Ora sappiamo anche che Il Re Leone avrebbe potuto restare serenamente quel che era: questo suo doppio difficilmente lo scalzerà dal trono.

IL RE LEONE
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