Il premio

Gassman decide di affrontare di petto uno dei temi portanti della sua esistenza: il rapporto con un padre ingombrante
Il premio

Oreste è un personal trainer con una moglie dispotica e il sogno di aprire una palestra: sogno alla cui realizzazione mancano 15mila euro. Suo padre Giovanni gli promette quella cifra in cambio di un compito preciso: accompagnarlo in automobile a Stoccolma, dove l’anziano scrittore dovrà ritirare il premio Nobel per la Letteratura. E Oreste, che non ha mai accettato denaro da suo padre e ha cercato di vivere il più possibile fuori dal suo cono d’ombra, si ritrova a trascorrere una settimana fra Italia, Austria, Germania, Danimarca e Svezia, in compagnia di Giovanni ma anche di Rinaldo, il segretario personale di papà, e Lucrezia, la sorellastra blogger che ha deciso di documentare tutta l’impresa in Rete.

Alla seconda regia di un lungometraggio di finzione dopo Razzabastarda, Alessandro Gassman decide di affrontare di petto quello che dev’essere stato uno dei temi portanti della sua esistenza: il rapporto con un padre ingombrante il cui talento e la cui notorietà erano destinati a schiacciare involontariamente quelli dei propri figli.

La progenie di Giovanni cerca di definire la propria identità per contrasto (Oreste) o per sudditanza intellettuale (Lucrezia). Ma ciò che identifica il patriarca è un istinto di verità che lo spinge a una franchezza crudele verso i figli che evidenzia la loro mediocrità. Nei panni di Giovanni c’è Gigi Proietti, che giganteggia sul film esattamente come il suo personaggio giganteggia sulla trama, perfetto nel ritratto di un uomo che ha girato il mondo e non si è negato alcuna esperienza ma ha esaurito l’ispirazione e la voglia di vivere. E Alessandro Gassman gli lascia con generosità il centro della scena, esponendo con grande coraggio la propria fragilità di figlio gravato dalla figura paterna.

Il premio mette in scena il difficile rapporto padre e figli (che nel caso di Oreste si declina anche nei confronti del proprio figlio Andrea, interpretato con grande dolcezza da Marco Zitelli, noto nel mondo musicale come Wrongonyou) e quella compulsione a piazzarsi nel centro della scena che condanna gli artisti a confinare ai margini il resto del mondo, affetti compresi. Alessandro Gassman, insieme ai cosceneggiatori Massimiliano Bruno e Valter Lupo, decide di affrontare questi due argomenti in forma di commedia senza abbandonare il lato dark, al punto che la scena madre che prelude al finale si ispira ai drammi scandinavi alla Festen più che alla commedia dell’arte italiana.

Pesano, purtroppo, le ingerenze produttive che insistono a spalmare musica pop lungo tutta la narrazione (ma Gassman ha il buon senso di intervallarle con il rock nordico di Matilda De Angelis, qui nel ruolo di una cantante italo-islandese che rende omaggio a Bjork) e a sottolineare molte battute, come se il pubblico generalista non fosse in grado di afferrare le sottigliezze narrative del regista. Ma la direzione in cui Gassman, che possiamo smettere di considerare “figlio di”, si sta avviando, è quella giusta, e a indicarcelo non è tanto la sceneggiatura, ancora troppo incline al compromesso commerciale, quanto la regia, che è fluida e originale: lo si nota in particolare nelle scene all’interno dell’automobile, difficilissime da rendere interessanti, o in quelle ambientate nel quartiere “alternativo” di Copenhagen Christiania, la cui indipendenza sembra aver legittimato Gassman ad esprimersi con gioiosa libertà.

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