IL MIO POSTO È QUI

UN'OPERA PRIMA CHE NON FA SCONTI A NESSUNO E AFFRONTA CON EMPATIA I DIVERSI ASPETTI DELLA DISCRIMINAZIONE.
IL MIO POSTO È QUI

La seconda guerra mondiale è finita ma in un piccolo paese della Calabria nulla sembra essere cambiato se non sul piano politico. Marta, che ha avuto un bambino da un ragazzo morto successivamente in guerra, dovrebbe sposare un vedovo che non ama. Lorenzo è il sacrestano del parroco il quale, pur consapevole della sua omosessualità, si avvale della sua professionalità. I pregiudizi però non mancano sia ne i confronti dell’uno che dell’altra che, per di più, cerca una strada nel mondo del lavoro.

L’opera prima di Daniela Porto, che ha scritto e diretto il film con Cristiano Bortone, affronta con empatia i diversi aspetti della discriminazione.

Il loro è un film che non fa sconti a nessuno prendendo le mosse dal libro omonimo di Daniela Porto. Perché sullo sfondo di una Calabria post bellica, in cui stanno iniziando i primi fermenti politici in attesa delle prime lezioni in cui le donne potranno votare, si muove un microcosmo di vizi privati e pubbliche virtù in cui il pregiudizio non solo la fa da padrone sul piano del pettegolezzo diffuso ma impone rigorosamente le proprie leggi. Le impone anche (qui sta la libertà di narrazione del film) trasversalmente.

Quando si tratta di sottomettere la donna o di emarginare i ‘finocchi’ imposizioni ataviche e maschilismo allo stato puro non sono appannaggio solo di una parte . Marta dovrebbe ritenersi ancora fortunata per il fatto di avere una famiglia che non l’ha cacciata dopo che il frutto di un rapporto d’amore l’ha collocata nella condizione di ragazza madre. Ancor più dovrebbe essere grata per il fatto che ci sia qualcuno che, per quanto incolto, con molti più anni e vedovo con due figli, la voglia sposare. Lorenzo, che ha trovato nella chiesa un rifugio in cui operare ma non un baluardo contro le maldicenze, le fa conoscere il mondo degli omosessuali che nell’area non mancano ma, a differenza di lui, si nascondono dietro le varie facciate della ‘normalità’. La sequenza del carnevale ne costituisce un’ottima sintesi.

Non ci si ferma però su questo piano perché il percorso di emancipazione di Marta passa attraverso la dignità del lavoro. Forse qualcuno ricorda la commedia francese del 2013 Tutti pazzi per Rose in cui, nella Francia di un decennio dopo rispetto a Il mio posto è qui, una giovane donna vuole diventare una segretaria e quindi partecipa a concorsi di dattilografia.

I suoni dei tasti della macchina per scrivere diventano anche per Marta le note di una musica che, riga dopo riga, dovrà dare armonia a una vita vissuta nel sotterfugio e nella paura di essere scoperta a desiderare. Perché in fondo quello che quel tipo di società voleva (e in tanti, troppi, luoghi del mondo ancora vuole) era conculcare il desiderio. Amoroso, sessuale certo. Ma anche di emancipazione e di crescita individuale da esprimere alla luce del sole senza infingimenti. Ognuno ed ognuna nel posto che ha deciso di fare proprio

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