IL COLLEZIONISTA DI CARTE

UN CINEMA DI ATTESA, RISCATTO E REDENZIONE
IL COLLEZIONISTA DI CARTE

William Tell ha trascorso un decennio in prigione, dove si è letto a fondo le meditazioni di Marco Aurelio e ha imparato a contare le carte, ovvero a tenere traccia di ogni carta giocata durante una partita. Una volta uscito mette a frutto la sua abilità girando per i casinò d’America e partecipando a numerosi tornei di poker. Non si fa cacciare dai gestori dei casinò perché sa mantenere obiettivi modesti: punta poco, vince (e perde) poco, e s allontana quando il gioco si fa duro. Ma la prorompente La Linda, finanziatrice in cerca di un mago delle carte, gli propone di entrare a far parte della sua squadra e lo convince ad alzare la posta.

“Il poker è tutta una questione di attesa” e lo è anche il cinema di Paul Schrader, che costruisce personaggi in bilico portandoli fino all’orlo del salto nel vuoto.

Il tema di Schrader, sceneggiatore e regista, è il senso di colpa (calvinista) accompagnato da un desiderio ossessivo di redenzione, e William Tell, che ha il nome dell’eroe nazionale svizzero capace di centrare una mela con una freccia, non fa eccezione. La sua calma apparente nasconde un fuoco interiore difficile da tenere a freno, e la sua colpa è di quelle che non si cancellano, né per un uomo, né per una nazione.

Senza voler rivelare troppo della trama, c’entrano Guanatanamo e un certo fanatismo patriottico yankee, anche al tavolo verde (che fa da sfondo ai titoli di testa), e si parla di responsabilità, individuale e collettiva, nei confronti delle proprie azioni, il cui peso “non può essere rimosso”. L’incontro fra William, un ragazzo animato dal suo stesso fuoco vendicatore e La Linda, che risveglia in lui una componente (anche fisica) a lungo tenuta a freno, metterà in moto per William un meccanismo inarrestabile di rivalsa.

Oscar Isaacs si inserisce con insospettabile perfezione nel filone di antieroi solitari iniziato con il Travis Bickle di Taxi Driver (di cui Schrader è stato sceneggiatore per Scorsese, che figura fra i produttori de Il collezionista di carte) e proseguito con il Julian Cole di American Gigolo e il John LeTour di Light Sleeper (il finale di Il collezionista di carte richiama quello di questi ultimi due film).

La sua malinconia esistenziale è quella caratteristica di Schrader, da sempre disincantato rispetto al mondo e in particolare agli Stati Uniti, ma ancora dotato di un profondo afflato romantico che permea il suo film, così come la cupezza all’interno di un mondo fasullo fatto di non-luoghi dalle luci al neon e i soffitti ribassati, che ostenta sicurezza ed allegria quando non possiede nessuna delle due. A corroborare l’atmosfera cupa e straziante è la colonna sonora di Geoff Barrow dei Portishead (qui con Ben Salisbury), cui la comica Tiffany Haddish fa da delizioso controcanto nel ruolo di La Linda: finalmente una protagonista le cui curve generose non sono mai oggetto di ulteriore speculazione.

In particolare Schrader denuncia quel modello politico e sociale in cui, più che le mele, sono marci i cestini, e pur non assolvendo la responsabilità dei singoli, la contestualizza nell’incoraggiamento ricevuto dall’alto a compiere le peggiori nefandezze. I capri espiatori pagano, i loro mandanti naturalmente no, ed è a questo tipo di ingiustizia che il regista-sceneggiatore e i suoi antieroi si ribellano. Tuttavia Schrader non sfugge alla sgradevole realizzazione che chiunque può riconoscere in se stesso l’istinto primordiale verso la violenza e la sopraffazione, a prescindere dagli ordini ricevuti.

Torna spesso anche il tema del debito, in cui tutti (non solo gli americani) siamo immersi, che è non solo monetario ma esistenziale, e mostra come l’esaltazione del sistema capitalistico ignori il fatto che proprio sul debito di molti si costruiscono (e accrescono) le ricchezze di pochi.

IL COLLEZIONISTA DI CARTE
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