STORIE DI STORIA 2021
INGRESSO LIBERO
Introduce il film il critico SIMONE ROSSI
All’inizio del 2020 tre registi hanno intrapreso un grande giro per l’Italia, domandando ai ragazzi e alle ragazze di tutta la Penisola quale fosse la loro idea di futuro: Alice Rohrwacher, Francesco Munzi e Pietro Marcello hanno attraversato lo stivale fermandosi sia nelle grandi città – Milano, Genova, Roma, Napoli, Palermo – sia nelle campagne e nei piccoli centri, incontrando giovani che appartengono a scuole e atenei, corsi professionali, circoli sportivi, cori, manifestazioni di piazza, luoghi di lavoro. Le testimonianze raccolte formano l’affresco di un Paese che non presta abbastanza ascolto e attenzione ai ragazzi, e dedica loro ben poche risorse economiche e organizzative.
L’intento sembra quello dei grandi reportage attraverso l’Italia realizzati da Sergio Zavoli, Pier Paolo Pasolini o Liliana Cavani, e Futura cita esplicitamente brani delle inchieste di Mario Soldati, Luigi Comencini e Gianfranco Mingozzi.
I ragazzi, per i tre registi, sono “divenenti”, vite al confine dell’età adulta sul punto di trasformarsi, come “creature sovrannaturali”. La loro percezione è che non ci sia futuro in Italia, dove non riescono a “lasciare un segno” e si sentono continuamente “giudicati”. “Qua la felicità non ce la vedo”, concludono, immaginando di trasferirsi in un El Dorado straniero.
Il sentimento dominante è la paura del domani, soprattutto in termini lavorativi: anche perché molti vorrebbero fare il calciatore o la performer, puntando a sogni poco realistici. Molti percepiscono che l’istruzione non è più una garanzia di stabilità economica e hanno già le idee molto chiare sul precariato e lo sfruttamento che probabilmente li aspetta. Ma si preoccupano anche dei loro genitori, che vedono “fare i salti mortali”. A tanti manca la capacità di contestualizzare e attingere alla Storia – anche quella recente, come la mattanza del G8. E tuttavia questi ragazzi spaventati sono capaci di grande saggezza: ad esempio uno descrive l’istruzione come un mezzo per “non avere paura dell’ignoto” e afferma che “i maestri fanno dell’errore il loro primo valore e della condivisione il secondo”.
C’è chi descrive un “futuro immateriale”, chi denuncia “il dominio dei social network”, chi teme di essere rimpiazzato da una macchina sul posto di lavoro. Vogliono “provare a fare di più per gli immigrati che aiutarli solo a sopravvivere”, definiscono il razzismo e la violenza sulle donne “roba da vecchi” – anche se poi i maschi continuano a dominare le conversazioni, a meno che il gruppo intervistato non sia tutto femminile. E ad un certo punto delle riprese arriva l’irruzione della pandemia, lo sguardo in macchina degli intervistati si colora di una paura nuova, e Futura diventa “il diario di uno stato d’animo contagiato”.
L’affresco è più interessante che cinematograficamente riuscito, più ricco di suggestioni che di approfondimento. Anche la pluralità di sguardi dietro la cinepresa contribuisce alla disomogeneità del risultato, che non riesce a prendere una direzione chiara. Ma in questo è anche lo specchio dei ragazzi che racconta, e resta un documento prezioso da cui partire per scavare più a fondo e dare nuovo spazio e ascolto ai “divenenti”