FIGLI

LA QUOTIDIANA LOTTA PER LA SOPRAVVIVENZA DELLE COPPIE CON FIGLI IN ITALIA, IN UN'EPOCA DOVE TUTTO SEMBRA REMARE CONTRO
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Nicola e Sara hanno scoperto a loro spese uno dei segreti meglio custoditi della contemporaneità: fare il secondo figlio, nell’Italia della natalità zero e della precarietà come regola di vita, rischia di innescare una bomba ad orologeria, e aprire il varco ad una serie di incognite spesso difficili da gestire. La relazione fra Nicola e Sara, teoricamente imperniata su una divisione dei compiti 50/50, fa sentire ognuno di loro non riconosciuto nei suoi sforzi e gravato dal 200% delle incombenze familiari. Che fare allora quando tutto quello che vorresti è saltare fuori dalla finestra di casa tua e abbandonare il campo?

Quasi vent’anni dopo Casomai di Alessandro D’AlatriMattia Torre prova a fare i conti con uno dei grandi problemi del presente, del quale il cinema parla pochissimo: la quotidiana lotta per la sopravvivenza delle coppie (relativamente) giovani in una nazione dove sembra che tutto cospiri contro il nucleo famigliare.

Il duplice obiettivo è quello di far uscire dall’isolamento queste coppie in trincea, che probabilmente si ritengono le uniche a non farcela a gestire la propria quotidianità, a maggior ragione quando arrivano i figli, e di denunciare la mancanza di empatia e di sostegno dello Stato e delle istituzioni nei loro confronti.

Invece di essere aiutati Nicola e Sara sono infatti tempestati dalle cartelle esattoriali e si vedono rispondere dai loro genitori, quella generazione ex sessantottina che “si è mangiata tutto”, che loro sono la maggioranza demografica che detiene il potere decisionale e i cordoni della borsa. E il tallone d’Achille di Nicola e Sara sembra essere proprio quello di “credere ancora in questo Paese” che non sembra accorgersi delle loro difficoltà.

Come sempre Torre, qui purtroppo alla sua ultima sceneggiatura, mette il dito sulla piaga e racconta la contemporaneità e la sua generazione con una precisione e un’attenzione ai dettagli (fantastico quello sulla ferocia che si innesca al terzo passaggio di fazzoletto sulla bocca di un bambino) che raccontano la cura dell’autore e rendono riconoscibile ogni svolta narrativa.

Il regista Giuseppe Bonito prende in mano la sceneggiatura con rispetto e applica alcuni stratagemmi visivi già usati da Torre nell’adattamento televisivo del suo La linea verticale: ad esempio calare i suoi personaggi dentro un panorama bianco latte che ne delinea la sensazione di isolamento cosmico. E i tanti amici di Torre appaiono in cammei anche brevissimi, mostrando un sostegno non solo professionale al progetto.

Quello che manca, nella regia di Bonito, è il “ritmo laconico”, letterariamente e letteralmente al passo coi tempi, che Torre sapeva imprimere alle scene da lui immaginate, e che aveva trovato in Valerio Mastandrea, qui nel ruolo di Nicola, l’interprete perfetto. Quella laconicità costituiva una sorta di paradossale comic relief, mentre in Figli il dramma prende il sopravvento sull’ironia: dunque il film finisce per assomigliare più a Storia di un matrimonio che a una riflessione ironica sull’essere genitori, e perde quell’energia narrativa che ha reso eccezionalmente efficace il monologo “I figli ti invecchiano”, interpretato a teatro dallo stesso Mastandrea, all’origine di questo film.

La disarmonia con il proprio Paese, la disparità percepita nei rispettivi compiti, la discordia permanente che ne deriva – tutti i “dis” della contemporaneità – necessitano della capacità di Torre di scadenzare con il suo ritmo anomalo il suo pensiero: una capacità che purtroppo non ammireremo più. E il passaggio finale di Figli sulla necessità di accettare la realtà prima di accingerci a cambiarla ci dà dolorosamente la misura della consapevolezza con cui l’autore ha saputo accogliere il suo destino e trasformarlo in arte.

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