Il regista Salvador Mallo si trova in una crisi sia fisica che creativa. Tornano quindi nella sua memoria i giorni dell’infanzia povera in un paesino nella zona di Valencia, un film da cui aveva finito per dissociarsi una volta terminato e tanti altri momenti fondamentali della sua vita.
Almodóvar (come si definisce ormai in forma icastica da tempo nei titoli di testa dei suoi film) torna ad essere Pedro (anche se sotto le mentite spoglie di Salvador Mallo) e ci parla di sé, del proprio malessere, della difficoltà di portare avanti il pavesiano mestiere di vivere sotto il cielo di Madrid. Lo fa tenendo sotto controllo quel tanto di automanierismo che progressivamente si era insinuato nel suo cinema e, soprattutto, lasciandosi andare sul piano emotivo. Ciò che non era accaduto in La mala educaciòn, film anch’esso legato al suo vissuto giovanile, avviene qui. Grazie anche alla scelta del giusto alter ego.
Come Federico Fellini aveva trovato in Marcello Mastroianni chi poteva tradurre al meglio il se stesso cinematografico così Pedro Almodóvar ha nell’amico e attore Antonio Banderas una persona a cui può trasferire il proprio sentire più intimo con la certezza di non essere mai tradito, neppure in un incontrollato battere di ciglia.
Perché non è facile mettersi a nudo dinanzi a milioni di persone raccontando senza edulcorazioni il proprio periodo di dipendenza dall’eroina così come lo stretto legame con una figura materna la cui perdita ancora si fa sentire in profondità. Si parla di un film rinnegato e poi riabilitato per finire con il prenderne di nuovo le distanze in Dolor y gloria. Si mostra come il teatro, con il suo contatto diretto con il pubblico, abbia una valenza ancestrale che conserva in maniera misteriosa anche quando è il cinema che lo mette in scena. Perché sicuramente questo è un film a cuore aperto in cui la speranza di poter rinascere dal liquido salvifico ma anche amniotico è dichiarata già in apertura ma è anche una matura e complessa riflessione sul cinema e sulla sua possibilità di esprimere ciò che può sembrare quasi indicibile.
Quanta consapevolezza dello scorrere del tempo si avverte nell’incontro con l’amore di giorni che furono in cui gli sguardi e i gesti trasmettono l’interiorizzazione del dono di un’esperienza che ha coinvolto entrambi i partner facendoli maturare sul piano sentimentale! Ma quanto anche, contemporaneamente, si sperimenta il ‘sentire’ che il passare degli anni non può fare altro che conservarne il ricordo, senza sperare in un riaccendersi della passione di un tempo, in un presente che ha favorito percorsi differenti. Il bambino che un tempo insegnò a leggere a un giovane muratore, giunto sulla soglia dei settant’anni aiuta anche noi a ‘leggere’ offrendosi come un libro aperto in cui compitare le lettere dell’alfabeto più nascosto: quello dei sentimenti.