Captain America: Civil War

Il cinefumetto Marvel è realizzato a regola d'arte e il personaggio che funziona di più è Spiderman
Captain America: Civil War

Le conseguenze del grande scontro avvenuto in Avengers: Age of Ultron portano ad una resa dei conti tra i Vendicatori e gli stati nazionali. L’America in primis chiede agli eroi di registrarsi, cioè di smettere di essere indipendenti e agire sotto il comando degli stati sovrani. La squadra si spacca così a metà, con una parte di eroi (facente capo ad Iron Man) favorevole all’idea per poter continuare la propria missione e un’altra (facente capo a Capitan America) convinta che tutto questo vada contro la loro stessa idea di missione. Divisi e con obiettivi diversi, i Vendicatori devono affrontare la minaccia di un terrorista che compie terribili attentati proprio ai loro danni, colpendo tra gli altri anche il re di Wakanda, stato africano in prima linea nel conflitto ai superumani poiché produttore di un metallo unico e utile alla causa. In tutto questo il soldato d’inverno, Bucky Barnes, è tornato e pare essere proprio lui il responsabile degli attacchi, di nuovo privo di memoria, di nuovo preda di una volontà altrui e di nuovo bisognoso dell’aiuto di Capitan America.

La serie di film dedicati a Capitan America sono per la Marvel la maniera di prendere di petto il mondo reale (o quasi). Quello di Steve Rogers è il medesimo universo degli altri supereroi, eppure le storie che lo riguardano hanno sempre a che vedere, in una maniera o nell’altra, con problemi concreti e con la maniera in cui lo stato si prende cura dei cittadini. Dal suo esordio con i Marvel Studios (Capitan America – Il primo vendicatore), che aveva a che vedere con la maniera in cui lo stato approfitta dei suoi soldati per combattere guerre che loro non capiscono, al secondo (Capitan America – Il soldato d’inverno) pensato in pieno stile anni ’70, fobico e paranoico, centrato sulle agenzie segrete e i limiti del loro potere, fino a quest’ultimo il filo rosso è sempre l’etica dei governi e la loro propensione ad approfittarsi di chi dovrebbero proteggere.
Nonostante la folta presenza di altri Vendicatori faccia apparire Civil war come un film della serie Avengers, lo stesso in cui la trama gira intorno al terrorismo e alla paura costante di attacchi inarrestabili e invisibili riconduce tutto ai temi cari a Capitan America. In più viene rimarcato con forza il tema che regge quasi tutti i film tratti da fumetti americani, la vera maniera in cui Hollywood porta avanti il grande ragionamento sui nostri anni: quanto quel che facciamo per proteggerci sia in realtà la prima causa delle minacce che ci affliggono.
In un film che punta tutto su una contrapposizione tra forze positive, più viva nel marketing che poi nella storia, in maniera non diversa da quanto fatto dalla concorrenza con Batman V Superman, è quindi la presenza di una minaccia minuscola, molto umana e per niente super, a segnare la differenza dal resto dei film tratti da fumetti Marvel. Un uomo astuto, piccolo e anonimo (interpretato come sempre benissimo da Daniel Bruhl) sfugge agli ingranaggi della giustizia e sparge il terrore con attacchi imprevedibili e una strategia invisibile. È tra noi ma non lo vediamo, ha cattive intenzioni ma non sappiamo quando, dove e come colpirà.
Tuttavia è una differenza sottile che non bilancia la sensazione di già visto. L’universo Marvel, al cinema, funziona come una grande serie tv: nonostante l’avvicendarsi diversi registi (che ha portato a risultati diversi) lo stile, il look e la messa in scena sono sempre coerenti e, specie in Civil war, questo porta ad una forte impressione di ripetitività, non tanto nella storia quanto nella maniera in cui sono presentati gli eventi. Inseguimenti, confronti fisici, scontri verbali, svolte di trama, presentazioni dei villain e ancora showdown finali, arrivano e sono condotti sempre nella stessa maniera, variazioni su un medesimo canovaccio. Addirittura anche gli inseguimenti e i momenti d’azione si somigliano tutti.
Accade così che anche un film ben fatto e inappuntabile come questo dei fratelli Russo possa lo stesso risultare dimenticabile, perso nel mare di opere simili ed incapace di distinguersi se non per la fugace apparizione di un nuovo personaggio. È Spider-man l’unica presenza in grado di ravvivare il film, per la prima volta in mano alla casa che l’ha inventato (era la Sony e non la Disney, ora proprietaria della Marvel, a gestirne i diritti cinematografici in precedenza). E non sono tanto le qualità di scrittura o le doti del personaggio in sè a segnare la differenza, quanto lo sguardo completamente nuovo con cui il film lo osserva. Se infatti gli altri eroi sono filmati alla medesima altezza, Spider-man è guardato come un ragazzino. Negli altri film a lui dedicati, nonostante fosse sempre un adolescente, la prospettiva era quella di un suo pari, sembrava un ragazzo guardato da altri ragazzi, qui invece è un ragazzo come lo vedono gli adulti, pieno di ingenuità, problemi futili e troppo irruento. Invece che stonare questa novità funziona moltissimo, marca una differenza sostanziale dagli altri, idea uno specifico filmico e porta tutta un’altra aria al film. Segno che, per quanto non ci fosse bisogno di ricordarlo, anche nel mondo dei cinecomic valgono le medesime regole che regnano al resto del cinema, cioè che come eventi e personaggi vengono guardati fa tutta la differenza possibile.

Captain America: Civil War
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