BOYS

LA STORIA LEGGERA E AFFETTUOSA DELLA REUNION DI UN GRUPPO ROCK, IMPREZIOSITA DAL TALENTO DI DAVIDE FERRARIO.
BOYS

Quattro sessantenni come tanti, gli amici Carlo, Joe, Giacomo e Bobo vivono nel ricordo di una giovinezza dal sapore rock. Insieme formavano infatti The Boys, un gruppo di successo negli anni settanta. Pur non essendosi mai sciolti, e continuando anzi a suonare insieme ogni settimana all’insegna della nostalgia vintage, i quattro si sono abituati a vite più tradizionali, chi notaio chi ristoratore, chi con figli, matrimoni o amori perduti, senza contare i problemi di salute. Ora però si presenta un’opportunità di tornare sulla cresta dell’onda grazie a una proposta di cover di un giovane rapper che brilla sui social network. Oltre che dei quattro membri serve però il consenso di Anita, vecchia vocalist del gruppo di cui poi si erano perse le tracce, e la banda si rimette quindi “on the road” per andare a cercarla.

Una storia di rimpianti e di rivalsa, di perseveranza e ottimismo, oltre che ovviamente di amicizia e di spirito rock. Davide Ferrario, uno dei registi più raffinati e particolari del nostro cinema, la mette in scena in Boys con una positività ostinata, bella e forse deleteria. Di certo confeziona un film che sa di appartenere a un sottogenere molto specifico, e ne rivendica sfacciatamente ogni passaggio.

Il successo, “quello vero”, negli anni settanta, rivisti attraverso fotogrammi in bianco e nero di volti giovani e strumenti lucenti. Poi “sono arrivati gli anni ottanta” e qualcosa si è perso per i membri del gruppo The Boys, che da quel momento hanno abbandonato il sogno e si sono affacciati alla vita vera.

Il ricordo sospeso del passato è un terreno perfetto per il cinema di Ferrario: critico, romanziere, documentarista, regista meno prolifico di quanto vorremmo, ed esempio lui stesso della portata dei ricordi visto il segno lasciato da opere come Dopo mezzanotte e Tutti giù per terra.

In Boys, primo film di finzione dal 2014, porta sullo schermo la sua generazione, messa di fronte a quella sottile linea illusoria tra il non sentirsi vecchi e il credersi giovani, che sono due cose diverse. Il cast è ottimo e pieno di scelte non ovvie, cosa che dona vitalità anche a dinamiche di gruppo che si direbbero convenzionali. Soprattutto il registro comico funziona, con la strana commistione tra Giorgio Tirabassi e Giovanni Storti a bilanciare le malinconie di Neri Marcorè e Marco Paolini. Come in tutte le rock band, il segreto è l’equilibrio e le due anime sono entrambe autentiche, per cui si passa dalle gag slapstick sulla ginnastica perineale al grande respiro emozionale di una musica nostalgica ed energetica (a firma prestigiosa di Mauro Pagani che riscopre melodie di gioventù) con ammirevole nonchalance.

In più, lo sguardo registico di Ferrario (aiutato dalla ricca fotografia del giovane Emanuele Pasquet) si mantiene obliquo come le composizioni sghembe con le quali spiazza i suoi personaggi, e leggero come un’inquadratura che sale a trasformare un viale alberato in un campo coltivato. Un autore dalla sensibilità visiva d’eccezione, che di proposito si nasconde sornione dietro la prevedibilità semplice e genuina del film, da accettare secondo i suoi termini. Nella speranza che anche lui, come i simpatici sessantenni dei The Boys, possa riprendersi presto il centro del palcoscenico.

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TERMINATA