Lo chef Andy arriva in ritardo per il turno serale presso il suo ristorante londinese. Ai problemi personali con il figlio e l’ex-moglie si aggiungono le piccole beghe tra i membri del suo staff e un’ispezione sanitaria che ha trovato qualche magagna nella cucina. La squadra si prepara comunque ad accogliere gli ospiti, guidati dalla manager Beth, mentre l’aiuto di Andy, Carly, medita di accettare un’offerta di lavoro altrove. A complicare le cose ci si mette l’arrivo di Alistair, un tempo mentore di Andy e ormai divenuto celebrity chef in televisione. Tra i due c’è tensione, rivalità, e delle questioni di affari da risolvere.
Tutto in una notte tra i tavoli di un ristorante: il secondo film dell’attore divenuto regista Philip Barantini è un thriller serrato dall’ambientazione affascinante, che tiene la tensione alta grazie a uno scenario da incubo per ogni ristoratore, in cui ogni cosa che può andar male finisce per andare anche peggio.
Barantini sposa la classica frenesia del mestiere con una veste stilistica appropriata, girando il film interamente in piano sequenza e lasciando che la macchina da presa di Matthew Lewis sgusci tra i tavoli e dietro il bancone con notevole destrezza.
Il mondo della cucina ha ormai conquistato l’immaginario mainstream, ma è una fama che viene più dalla TV e dal culto dei celebrity chef che non dai tentativi di catturarne l’essenza sul grande schermo (Chef, Burnt). In questo, Boiling point rifugge il glamour e il mito del genio sregolato in favore di un’amara dose di quotidiana realtà, ben mostrando a quali livelli possa arrivare lo stress di gestire un ristorante. Senza dubbio molte delle peripezie a cui è costretto il povero Andy si collocano ben oltre l’improbabile e mettono alla prova la fiducia dello spettatore.
Ma se alla sceneggiatura si perdonano gli eccessi vista la necessità di movimento costante che deriva dalla scelta di girare in un unico movimento di macchina senza stacchi, il vero collante emotivo è la straordinaria performance di Stephen Graham nel ruolo del protagonista, preparata per giunta dalla partecipazione al corto dello stesso regista di cui il film è un’espansione. Graham si è costruito una variegata carriera da caratterista ai massimi livelli, tra Europa e America, di cui la scena iconica del litigio con Al Pacino in The Irishman è forse il meritato culmine. Eppure possiede un talento multiforme che non viene premiato abbastanza spesso con ruoli da protagonista, specialmente al di fuori del cinema britannico (il suo lavoro nella miniserie di Shane Meadows The virtues meriterebbe fama ben più ampia).
La sua capacità di farsi presenza mastodontica e insieme di contorcersi in un groviglio di tormento è perfetta per il personaggio di uno chef che è guida e ispirazione di un’intera squadra ma che nel frattempo sta progressivamente perdendo i pezzi al livello più intimo di sé. Boiling point ci mette la sua sofferenza davanti agli occhi e ci impedisce di distogliere lo sguardo, pregando che questa cucina, stasera, chiuda al più presto.