ASTEROID CITY

WES ANDERSON SI RIVELA E RIVELA LA SUA CONDIZIONE DI ARTISTA, AFFRONTANDO DI PETTO PAURE E I TORMENTI DELLA CREAZIONE
ASTEROID CITY

Asteroid City, 1955. In un sito del deserto del Nevada, rinomato per il suo cratere dopo l’impatto di un asteroide gigante, si incontrano i destini di un reporter di guerra in lutto per la moglie, un’attrice che sa esistere soltanto nello sguardo degli altri, un nonno malinconico che prova a ‘raggiungere’ le nipotine, una scienziata sopraffatta dagli eventi e una varia umanità perduta in uno spazio troppo grande. Durante una convention di giovani scienziati in erba (la Junior Stargazer), confluiti nella cittadina turistica per presentare le loro invenzioni, un extraterrestre ‘cade’ dal cielo. Il governo degli Stati Uniti, allarmato dalla presenza aliena, mette tutti i convenuti in quarantena. Costretti in cattività, devono coabitare pazientemente, tessendo legami evarcando porte che conducono a una realtà in bianco e nero.

Come Simon Axler (“L’umiliazione”), Wes Anderson ha perso la magia. Tanto meglio, perché quella impotenza creatrice diventa il magnifico soggetto di Asteroid City.

Un film sul deserto del nostro scontento che comincia con un guasto. Un’auto in panne nel mezzo di nowhere, una città cratere, un enorme buco con cui autore, film e personaggi dovranno fare i conti e comporre, (ri)comporsi.

Al contrario dell’effervescente The French Dispatch, che saturava i piani nel tentativo di combattere l’assenza di appigli drammatici e tematici, Asteroid City fa corpo col vuoto. Se Wes Anderson ha sempre gestito la miniatura dei grandi spazi (Il treno per il DarjeelingMoonrise KingdomGrand Budapest Hotel), questo deserto da cartoon è uno spazio troppo grande per lui, impossibile da governare. È un ‘trucco’ alieno in tre atti che confronta i suoi eroi col vuoto interiore per riaffermare meglio il potere delle storie.

Storie al quadrato e al cubo, perché Asteroid City è una pièce di teatro narrata da Bryan Cranston e adattata per la televisione da Adrien Brody. Un’opera teatrale in bianco e nero che diventa pure la storia a colori di coloro che danno vita al racconto. Attraverso un gioco di quinte e di flashback, la finzione si nutre della vita che attende in balcone e in una sequenza regale con Margot Robbie, in cui personaggi e attori si (con)fondono.

Fermo alla stazione di servizio di Steve Carell e nell’America paranoica degli anni Cinquanta, il cinema di Anderson ha messo in pausa la vita coi suoi mille personaggi, più consistenti dell’armata stellare di The French Dispatch, che il sovraccarico decorativo finiva per devitalizzare.

Sotto la parrucca bruna, Scarlett Johansson si innamora di Jason Schwartzman, eternamente orfano e melanconico dentro un dispositivo di cui attore e autore sono ormai prigionieri. O forse no. La risposta non è così evidente. Perché se il film precedente soffriva un approccio teorico che metteva sistematicamente fuori gioco l’emozione, Asteroid City è il suo sensibile contropiede.

ASTEROID CITY
PROGRAMMAZIONE
TERMINATA