1952. Una giovane coppia, Tom Harper e la moglie Mary lasciano per sempre Land’s End, in Cornovaglia, per trasferirsi a John O’Groats, un piccolo villaggio a Nord Est della Scozia. Vivono insieme per circa sessant’anni fino a quando la donna muore. Così Tom vuole mantenere una promessa fatta a Mary: ritornare a Land’s End, che è il punto più a Sud della Gran Bretagna, ripercorrendo nei minimi dettagli tutte le tappe del viaggio fatto molti anni prima ma in senso contrario. Prende un primo autobus per raggiungere la meta che si trova a 874 miglia di distanza utilizzando il suo abbonamento per pensionati e accompagnato da una valigetta. Lungo la strada e malgrado gli imprevisti, incontra molte persone che sono venute a conoscenza della sua storia e cercano di aiutarlo a raggiungere il suo obiettivo.
The Last Bus. Il titolo originale di Appuntamento a Land’s End rende in modo più chiara l’imprevedibilità di un road-movie intimo fatto di pause, attese, incontri.
Ma l’immagine che ritorna frequentemente è soprattutto quella di Tom alla fermata dell’autobus. Da lì inizia ogni volta un nuovo spostamento e parte una nuova avventura. Non è un solo unico viaggio quello del protagonista ma sono tanti piccoli frammenti di ‘storie di vita’, dalla famiglia che lo soccorre e lo ospita, alla determinazione con cui difende una giovane madre col velo o consola una ragazza che sta piangendo.
Sono questi squarci più intimi, a volte più silenziosi, altri più umani, che rendono Appuntamento a Land’s End più autentico e vitale e lo mettono a contatto diretto con la vita vera catturando frammenti di realtà. Tra i momenti più intensi, sotto questo punto di vista, ci sono gli sguardi del protagonista fuori dalla finestra mentre la moglie sta facendo l’orto. Nell’ultima inquadratura sul giardino, lei non c’è più. La scomparsa della donna viene mostrata, anzi avvertita, principalmente, attraverso le soggettive di Tom.
Il tono è quello di un film britannico tra gli anni Ottanta e Novanta, che si affida principalmente al paesaggio, a un accenno di sentimento di nostalgia nei confronti del passato e punta sulla performance di Timothy Spall, sul suo sguardo stanco, la camminata affaticata in cui si avverte, al di là della bravura dell’attore, una costruzione un po’ troppo rigida del personaggio.
Più spontanea invece la prova di Phyllis Logan nei panni di Mary, perché riesce a mostrare quello che prova Mary anche solo con un primo piano su di lei. Sicuramente è una storia che appassiona proprio per la sua lentezza, non quella magica e ipnotica di Lynch di Una storia vera che invece ha una purezza totale proprio per il modo in cui scarnifica ogni incontro e fa viaggiare solo attraverso gli occhi di Richard Farnsworth.