New York, 1933. Il dottor Burt Berendsen e l’avvocato Harold Woodman sono amici fraterni e colleghi di lavoro, dal giorno in cui il generale Meekins li ha fatti conoscere, sul fronte europeo, durante la prima guerra mondiale. Ed è proprio al cospetto del cadavere di Meekins, con ogni probabilità dovuto ad avvelenamento, che i due si trovano a dover nuovamente guardarsi le spalle, perché qualcuno li vuole morti, o per lo meno al fresco. Determinati a vendicare il loro superiore, Burt e Harold finiscono nella ricca tenuta dei Voze, dove incontrano Valérie, ex infermiera di guerra e grande amore di Harold, sparita nel nulla dodici anni prima. Ad Amsterdam, a quel tempo, i tre avevano giurato di proteggersi a vicenda, e ora rinnovano la promessa, mentre si addentrano tra le maglie di una cospirazione che minaccia di far saltare le fondamenta della democrazia americana.
Il film di David O. Russell è un profluvio di parole, oggetti di scena, personaggi, che tutto impasta ed esibisce.
Nel film ci sono Jules e Jim e Chinatown, Man Ray e Aldo Raine, la psicofarmacologia e il birdwatching, la commedia e l’antifascismo, a partire da una storia in buona parte vera e dal desiderio di metterci in guardia, in questi tempi senza amore e senza coscienza, sulla pericolosa tendenza della Storia (quella con la maiuscola) a ripetersi nonostante tutto.
Tre amici che promettono di prendersi cura l’uno dell’altro, in qualsiasi situazione, fungono da emblema di ciò che dovrebbe essere e non è, a livello di individui e di nazioni, e di uno stile di vita che crede nella condivisione di avventure e sofferenze (l’amore di Burt per i veterani, quello di Valérie per l’arte) e non mira soltanto all’arricchimento spasmodico e personale.
Tutto giusto, anzi sacrosanto. Non fosse che non c’è scena che non trasudi il suo messaggio. Se il punto d’arrivo del film è il discorso finale di De Niro al mondo libero, perché resti tale e resti vigile, tutto ciò che viene prima e dopo (un lungo e un po’ inutile dopo) di fatto dice lo stesso, prendendo un sentiero brillante che ad alcuni potrebbe anche apparire pretestuoso. A noi più che altro pare che David O. Russell non abbia grande fiducia nella capacità di ascolto del suo pubblico, tanto che ci ripete le cose mille volte per essere sicuri che la comunicazione giunga a destinazione.
Il divertimento e la convinzione che Christian Bale mette nel suo personaggio, il magnetismo di Margot Robbie, e in generale il modo in cui tutto il cast si presta a lasciarsi deformare dalla lente del grottesco, confermano che motivi di interesse e di intrattenimento ci sono. Il film pecca di logorrea e di entusiasmo, ma ci sono peccati peggiori.