Nel sud dell’Inghilterra che si affaccia sul canale della Manica, a Dover, Mary vive una vita tranquilla con il marito Ahmed, per il quale si è convertita all’Islam prima di sposarsi. Quando Ahmed muore all’improvviso, Mary trova il documento di una donna sconosciuta nel suo portafoglio. La curiosità e la paura la spingono verso la sponda francese del canale, a Calais, per chiedere spiegazioni a Genevieve, che ha un figlio, del rapporto con suo marito.
Impeccabile e rigoroso è il tono cinematografico di questo esordio alla regia per il britannico Aleem Khan: una storia di confronti e di avvicinamenti lungo la linea di confine tra due paesi e due mondi diversi.
Il materiale narrativo forse non avrebbe prodotto gli stessi risultati se Khan non avesse così ben sfruttato l’elemento ambientale della distanza tra le due località che si affacciano sulla Manica, un motivo ricorrente che permette sia visivamente che logisticamente di collassare il lontano sul vicino.
L’eleganza lineare del film si appoggia saggiamente sulla prova da protagonista di Joanna Scanlon, mastodontica in un ruolo che le richiede grande vulnerabilità e che le consente (grazie alla missione “sotto copertura” in cui si lancia Mary) di reagire a una sorpresa sconvolgente dopo l’altra mascherando stupore e liberando momenti di grande tenerezza. Quella tra lei e la dirimpettaia Nathalie Richard non è solo una danza tra donne rivali che hanno amato lo stesso uomo: Khan aggiunge al ritratto di base delle sfumature appena accennate ma di estremo interesse, primo fra tutti un discorso sulla fede musulmana che Mary ha abbracciato per amore del marito ma che ormai la definisce.
Ciò dà vita a una serie di esplorazioni che rimangono sottotraccia ma arricchiscono la fibra dell’opera, dal sociale (Genevieve avrebbe scambiato Mary per la donna delle pulizie con altrettanta facilità se non avesse indossato quel velo?) fino al culturale (le diversità nel linguaggio familiare e perfino nell’essere donna tra Francia e Gran Bretagna).
Anche la figura di Ahmed, che il regista lascia assente nella storia anche nei brevi attimi in cui è ancora presente, viene ricomposta sotto gli occhi del pubblico, a posteriori, e attraverso le esperienze di tre persone a cui mancano reciproci pezzi del puzzle.
Film intelligente e sentito, After Love non ha nemmeno un tassello fuori posto: perfino gli elementi periferici, come il segreto del giovane Solomon, vengono dal vissuto personale di un regista che è riuscito a mettere su schermo la storia della sua famiglia trovandogli però una chiave di astrazione che affascina lo spettatore.