
Nel quadro di PROTAGONISTI IN ARENA sarà ospite a ROCCACINEMA
il regista AURELIANO AMADEI
Intervista a cura di Lucia Annunziata.
Hanno nomi bizzarri, dal punto di vista dell’anagrafe italiana: Ram, Tdzaddi, Yesan, Icaro, Hiram, Amaranta. Hanno viaggiato molto da bambini, soprattutto in India e Nepal, ma anche in Brasile, Perù, Egitto, Cipro, Africa subsahariana: e non l’hanno fatto in resort attrezzati, bensì in situazioni estreme, ospitati da amicizie occasionali, seguendo il percorso di conoscenza dei genitori. Sono i figli dei figli dei fiori, come direbbe Francesco De Gregori, quelli che negli anni Settanta venivano definiti hippie, capelloni o fricchettoni. Sperimentavano droghe (e per molti l’eroina è stata fatale), hanno rifiutato la “vita ordinata dell’uomo medio”, sono vissuti in comuni adottando un concetto di famiglia assai diverso da quello tradizionale.
I loro figli hanno usufruito di una libertà incontrollata e spesso si sono ritrovati sballottati e confusi, da adolescenti hanno cercato di superare i genitori in eccesso dei limiti. E oggi, diventati a loro volta genitori, si chiedono come allevare i propri figli: se trasmettendo loro gli ideali dei nonni o scegliendo la via di una (almeno parziale) normalizzazione.
Nel documentario I nipoti dei fiori Aureliano Amadei racconta la sua personale esperienza da figlio di due genitori membri della generazione “più anticonformista della Storia”, e intervista i suoi coetanei, oggi fra i quaranta e i cinquant’anni, con alle spalle una storia simile alla sua.
C’è la figlia di due femministe con cinque compagni e sei figli, l’adolescente lasciato per mesi a vivere praticamente da solo mentre il padre inseguiva un guru indiano, l’ex bambina che ha avuto per babysitter Roberto “Freak” Antoni e se l’è ritrovato collassato nel bagno di casa. Sono cresciuti fumando hashish come rito di amicizia e di ascolto, alle feste di compleanno portavano in regalo oggetti indiani o manufatti artigianali invece dell’ultimo modello di playstation, e andavano a scuola da soli (o non ci andavano affatto) perché i genitori dormivano fino a tardi.
Ma frequentavano anche un mondo fatto di condivisione, musica e teatro, di creatività e immaginazione, curiosità e ricerca. Se gli acidi erano all’ordine del giorno era per “varcare le soglie della percezione”; se, come ricorda Amadei, “mi scordavano un po’ dappertutto”, erano comunque genitori amorevoli. E se oggi questi figli dei figli dei fiori “si ritengono in qualche modo dei sopravvissuti” a un’epoca di eccessi e di mancanza di regole, sono anche in parte grati per la loro educazione non convenzionale.
Gli intervistati si raccontano senza reticenze, ricordando episodi clamorosi e responsabilità troppo grandi, compresa quella di dovere occuparsi dei propri genitori; ammettono la vergogna nell’essere cresciuti sentendosi sempre diversi dai coetanei e il bisogno di costruirsi quei limiti che non erano stati loro dati.