Gary Johnson è il killer professionista più ricercato di New Orleans. Chi lo assolda per uccidere la moglie o un socio ingombrante, però, farebbe meglio a guardarsi le spalle. Johnson, infatti, dietro i tanti travestimenti che indossa, è un professore universitario e un collaboratore della polizia. Dotato di un talento naturale per l’interpretazione drammatica, incastra uno dopo l’altro i suoi malcapitati clienti e li consegna alla giustizia. Le cose si complicano, però, quando incontra e s’invaghisce della bella Madison, disposta a tutto pur di liberarsi di un marito violento.
Circa vent’anni fa, a Richard Linklater capitò di leggere un articolo di cronaca nera sul Texas Monthly, a proposito di un personaggio realmente esistente che sembrava uscito da un film.
Il periodo della pandemia, molto tempo dopo, si è rivelato quello giusto per riprendere in mano insieme a Glenn Powell (nel doppio ruolo di interprete principale e co-sceneggiatore) quella storia intrigante, che parlava, tra le righe, delle acrobazie possibili del concetto d’identità.
“Vivere pericolosamente” è l’unico modo di vivere appieno la vita, spiega Gary ai suoi studenti, all’inizio del film, ma lui sembra perseguire uno stile di vita opposto: solo e riservato, abita in compagnia dei suoi gatti Id e Ego, nel ricordo di un’ex moglie che sta per avere un figlio da un altro. Quando però gli viene offerta l’occasione fortuita di essere lui stesso qualcun altro, per esempio il misterioso e affascinante Ron, sicario dagli occhi di ghiaccio, Gary diventa Ron, e la sua vita prende un’altra direzione.
Che ne è dunque del nostro essere profondo? Esiste? Resiste? Mentre ragiona tematicamente sul cosidetto “palcoscenico della vita”, e sul rapporto tra ego e alter ego, Linklater applica l’arte del travestimento anche ad un altro livello: Hit Man, infatti, è a tutti gli effetti una commedia romantica travestita da thriller poliziesco, in cui il gioco degli equivoci è pompato da un’altissima posta in gioco, e ogni conversazione, ogni mossa, richiedono una performance impeccabile da parte degli attori in gioco.
Commedia degli omicidi, con una sceneggiatura da applausi, il film mette in scena il denominatore comune che esiste tra l’arte dell’esistenza e quella dello spettacolo, per il tramite di un Laurence Olivier del lavoro sotto copertura. Il risultato è un susseguirsi teso e divertente di colpi di scena e di duetti e triangoli eccellenti; una farsa degli equivoci solcata da una vena più scomoda e dark, che scorre ai confini estremi della morale e dell’educazione delle giovani menti.
Un film che appare leggero, ma, di nuovo, è solo un travestimento. Ci vuole un’esecuzione perfetta, infatti, per mascherare con naturalezza un’architettura complessa.