A documentary on the life of Queen Elizabeth II, the longest-lived, longest reigning British monarch and longest serving female head of state in history.
Elisabetta II è la regnante più longeva e che è stata più tempo in carica alla monarchia inglese di tutti i tempi. È anche il capo di Stato donna più in carica della storia. A livello simbolico rappresenta molto altro: madre di più nazioni, incarnazione della corona, l’impero coloniale, quintessenza del protocollo formale e della ragione di Stato. Icona pop, dalle serigrafie di Warhol alle tazze da tè.
“Potremmo intendere Sua Maestà come l’Alfa e l’Omega di un sistema immaginifico circolare che si ri-definisce e auto-alimenta continuamente rispetto a sé stesso, e così facendo si distingue, nel tempo, da quello di ogni altro monarca”, scrive Anna Pasetti in “Dio salvi la Regina!”, saggio recente che proprio prendendo le mosse dal film di Michell indaga il rapporto tra la sovrana e la sua rappresentazione visuale.
Ideato durante la pandemia dal regista di Notting Hill, A Royal Weekend, Il ritratto del duca, scomparso il giorno del completamento del mix sonoro, Elizabeth (sottotitolo originale: A Portrait in Part(s), vale a dire un ritratto per frammenti) è concepito non come un documentario che procede in ordine cronologico ma che si muove avanti e indietro nel tempo lungo oltre settant’anni di regno.
Il movimento oscillante, non lineare, che in assenza di didascalie e presenza moderata di voce over guida il montaggio, è il più evidente dei molti valori estetici di un eccellente lavoro di squadra in tutti i settori, e il fattore che permette di apprezzare meglio il transito più o meno glorioso dei Windsor. Il merito di questa miscela esaltante è di Joanna Crickmay, che con Michell aveva già lavorato nel documentario There’s Nothing Like a Dame (conversazione di carriera con Maggie Smith, Judi Dench, Eileen Atkins, Joan Plowright).
Impressionanti l’indagine e selezione compiute dalle ricercatrici d’archivio Rebecca O’Connor Thompson e Emily Thomas: le immagini ufficiali (parate, celebrazioni, solennità varie) sono bilanciate da curiosi backstage del cerimoniale, attimi rubati: è da questi minimi dettagli – Her Majesty che si concede una battuta per sciogliere il ghiaccio, il dietro le quinte di uno shooting fotografico o della posa per un ritratto, l’eccitazione per le corse dei cavalli – che si intuisce il senso della disciplina di una figura politica storica. Momenti ai quali fa spesso da contrappunto il punto di vista “dal basso”, della nazione, della massa che dalla strada osserva, partecipa, ammira, contesta.
I capitoli tematici che il film inanella rapido attengono a un codice più sentimentale che storico, non si addentrano se non per brevi suggerimenti in un giudizio politico sulla regina. Semmai, si ancorano spesso alla canzone pop. Anche in questo caso, ibridando passato e presente, immagini di archivio con musiche molto più recenti. Il primo esempio è “Let Me Entertain You” (con live performance istituzionale di Robbie Williams), rimando alla pratica performativa dell’icona regale per antonomasia. Più avanti, nel segmento intitolato “A Ticklish Sort of Job” (un lavoro delicato), mentre si mostrano le visite della regina a fabbriche e laboratori, scorre “The Thing Ummy-Bob”; canzoncina buffa e patriottica degli anni ’40 che si riferisce sia alla semplicità solo apparente dei processi produttivi che alla dissimulazione – a ritmo di sorrisi, strette di mano e conversazioni di chi ha uso di mondo – della responsabilità della corona. Il suo “peso” soprattutto esistenziale.