SPIDER-MAN: FAR FROM HOME

LO SPETTACOLARE RITORNO DELL'UOMO RAGNO, EROE GIUSTO PER UN MONDO POST EROI
SPIDER-MAN: FAR FROM HOME

Peter Parker torna a scuola, cercando di fare i conti con le catastrofiche conseguenze della guerra tra Thanos e gli Avengers. Lutto e confusione hanno lasciato il segno sul perenne adolescente del Queens, alla vigilia di una vacanza scolastica che porterà la sua classe a visitare alcune delle più importanti città europee, tra cui Venezia e Praga. Lasciata a New York zia May, Peter parte in compagnia del fidato amico Ned e con un piano per dichiarare il suo amore a MJ. Non solo da nuovi rivali romantici dovrà però guardarsi l’Uomo Ragno: il redivivo Nick Fury gli sta alle costole e non ha intenzione di concedere giorni di ferie quando c’è da salvare il mondo. Una nuova minaccia, gli Elementali, insorge dalle viscere del pianeta, e in mancanza degli Avengers Peter è chiamato a supporto di un eroe in visita da una Terra parallela, Quentin Beck.

Tra i film forse più insidiosi da realizzare nella lunga serie dei 23 che compongono il Marvel Cinematic Universe, il sequel del nuovo ciclo dell’Uomo Ragno getta un ponte verso la nuova fase della saga e offre una doverosa elaborazione del lutto dopo dieci anni di racconto che hanno appena offerto la cosa più vicina a una conclusione che potranno mai avere.

Che la squadra di Kevin Feige e il regista di ritorno Jon Watts siano riusciti a rendere una seduta di terapia collettiva così autentica, e al tempo stesso così divertente, è un’impresa non inferiore alla creazione dell’epilogo perfetto in Avengers: Endgame.

Il Peter Parker di Far from home è ora un veterano ferito come il suo mentore Tony Stark, ma è anche un Captain America del mondo liceale, rimasto sedicenne per cinque anni mentre alcuni suoi compagni crescevano a dismisura. Una crescita-non-crescita che lo ha maturato ma non abbastanza da avere tutte le risposte che il mondo chiede a Spider-man: il suo stress post-traumatico di fronte a una folla ansiosa di sapere dove, come e in quale forma gli Avengers siano ancora tra loro è la stessa di un esercito globale di fan, cullato per un decennio nella sicurezza seriale e poi trafitto dal senso di una fine.

E mentre la Marvel narrativizza il suo stesso paradosso esistenziale (qual è il destino di una società assuefatta agli eroi? Quanta astrusità siamo disposti ad accettare prima di metterla in discussione?), arrivando vicina come poche altre volte a dargli una dimensione davvero politica, il sempre più adorabile Tom Holland funziona perché rimane con i piedi per terra. “Resta appiccicoso” gli urla dall’abitacolo di un aereo Happy, il vecchio assistente di Tony, parte di una galleria illusoria di figure paterne che attraversano il film.

Jon Favreau, che lo interpreta, è in fondo il primo vero padre in quanto regista del primo Iron Man, e funziona alla grande come anello di congiunzione che permette di trattare i temi principali dell’Uomo Ragno (Zio Ben, la responsabilità e il lutto di una origin story che la Marvel saggiamente non gli ha dato) attraverso la figura mitologica di Stark, assente ma più che mai protagonista. E per chi si chiedesse cosa ha spinto un attore come Jake Gyllenhaal a entrare finalmente nel giro dei supereroi, si dimentichino i raggi verdi e il mantello viola, e si guardi a un paio di occhiali appartenenti a Tony, indossati per un attimo in una somiglianza inaspettata e molto poco artefatta.

In un trionfo di complesse allegorie e spettacolo itinerante, tra i canali di Venezia e il Tower Bridge di Londra, Spider-man: Far from home non perde mai di vista il nucleo dei personaggi, come un professore ansioso nel tenere unita la classe durante una gita. Un lavoro la cui base era stata gettata in Homecoming e che dà i suoi frutti spingendo l’Uomo Ragno a unire (letteralmente) le sue due anime, quella degli amici e della riuscitissima commedia, e quella di eroe sempre più consapevole, finalmente svelato a se stesso.

SPIDER-MAN: FAR FROM HOME
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