MIA E IL LEONE BIANCO

L'AMICIZIA IMPOSSIBILE TRA UNA RAGAZZA E UN LEONE È L'INCIDENTE NARRATIVO CHE INNESCA UN FILM TRABOCCANTE DI TENEREZZA.
MIA E IL LEONE BIANCO

Costretta a trasferirsi dall’Inghilterra al Sudafrica per seguire il lavoro del padre John, zoologo, Mia è una bambina insofferente e ribelle. Qualcosa però cambia quando, durante il primo Natale trascorso lontana da Londra, nell’allevamento di John nasce Charlie, un raro esemplare di leone bianco. Tra Mia e Charlie nasce subito un’amicizia fortissima che causa non poche preoccupazioni ai genitori della ragazza, convinti che il leone, una volta adulto, non saprà controllare i propri istinti predatori. Le cose si complicano ulteriormente quando Mia, insieme a suo fratello Mick, scopre un segreto sull’allevamento che i due bambini non avrebbero mai potuto immaginare.

Girato in tre anni, con l’attenta supervisione dello zoologo Kevin Richardson – sua la responsabilità dei sei leoni che circolavano sul set, sua soprattutto la responsabilità dell’incolumità dei due bambini – Mia e il Leone Bianco è un film traboccante di tenerezza.

Il film è adatto a due categorie di spettatori: le famiglie con bambini e gli adoratori irrazionali di cuccioli e animali in tenera età. Per i primi, il film di Gilles De Maistre è esattamente ciò che promette il trailer. Un lungo spot sui colori dell’Africa – location mozzafiato, parchi che si perdono all’orizzonte, cieli infiniti – popolato di tutti gli animali che i bambini degli altri continenti sono abituati a vedere allo zoo, o negli album di figurine: qualche zebra, tante giraffe, una bella sequenza con gli elefanti, un lemure protagonista delle scene slapstick che faranno morire dal ridere i più piccoli (un po’meno gli adulti) e poi, naturalmente, i leoni.

È un film, di fatto, tagliato a misura di bambino. La trama scorre via con un rapporto causa-effetto tra gli eventi praticamente immediato: Mia ha un problema, qualcuno ci fa notare che Mia ha un problema (di solito è l’altrimenti inconsistente personaggio di Mélanie Laurent), ecco che il problema si manifesta (spesso grazie a Brandon Auret, il villain Dirk), per risolversi poco dopo. Non è il tipo di film, insomma, da cui aspettarsi colpi di scena o sorprendenti trovate narrative. Di sorprendente c’è, ed è su questo che si concentra l’attenzione dello spettatore adulto, il rapporto che Richardson e la sua equipe hanno saputo creare tra Mia, la rivelazione sudafricana Daniah De Villiers, e il leone bianco cresciuto insieme a lei nei tre anni di lavorazione. Il legame tra i due – definitivamente pericoloso, nelle scene di conflitto come in quelle d’affetto, considerato che un leone adulto può pesare fino a 190 chili – è autentico, realistico e ben filmato, vero cuore di un progetto nato dall’idea di uno zoologo (Richardson) e di un appassionato di leoni (De Maistre).

Figlio della passione animalista dei suoi realizzatori ed esplicitamente schierato contro la caccia e il contrabbando delle bestie selvatiche, il film indugia il più a lungo possibile sui corpi, il manto, le pieghette, le zampine, le buffe code dei felini, con un voyeurismo pet che tocca i vertici più alti quando i leoni sono ancora cuccioli.

Si potrebbe, in sostanza, ridurre Mia e il leone bianco a una sorta di lungo video di ubergattini, di fronte al quale palpitare d’amore e prodursi in gridolini di tenerezza: un viaggio tra cuccioli d’uomo e d’animale senza altre pretese che quella di farci staccare la spina, sognando un mondo in cui anche il più temibile dei predatori si lasci amabilmente addomesticare.

MIA E IL LEONE BIANCO
PROGRAMMAZIONE
TERMINATA